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filosofica di Aristotele
"ARISTOTELE"
"Logica"
ARISTOTELE (384-324 a.C.), nativo di Stagira, fu per vent'anni allievo di Platone, presso l'Accademia fondata da quest'ultimo.
Intorno al 342 a.C. gli venne affidato l'incarico di presiedere all'educazione del futuro Alessandro Magno.
Più tardi, fondò ad Atene una sua scuola, che prese il nome di Scuola peripatetica. Gli scritti che ci sono rimasti
e che costituiscono il corpus delle opere aristoteliche sono perlopiù corsi di lezioni (i cosiddetti scritti esoterici), destinati all'uso degli allievi della sua scuola, il Liceo.
Si tratta di: testi di logica, chiamati poi Organon (strumento);
opere sulla natura;
il complesso di scritti di filosofia che prese poi il nome di Metafisica;
trattati di etica;
testi di estetica.

La logica sviluppata da Aristotele costituisce uno dei contributi più significativi alla storia del pensiero occidentale:
egli per la prima volta analizza la struttura del pensiero non solo nel suo aspetto contenutistico, ma anche in quello formale (logica formale).
Soprattutto tramite il lavoro compiuto da Severino Boezio e Pietro Ispano la logica aristotelica divenne la base dell'intera logica tradizionale.
Così come per Platone, anche secondo Aristotele il concetto riveste un ruolo fondamentale:
solo esso definisce una categoria.
 «Ogni parola espressa senza nessuna connessione indica o una sostanza  o una quantità o una qualità o una relazione o un dove o un quando o  una situazione o uno stato o un'azione o una passione.»

Libri e categorie

Abitualmente, però, le parole vengono collegate fra loro per formare frasi, che vengono definite giudizi, in quanto contengono affermazioni vere o false.
I giudizi vengono collegati fra loro attraverso deduzioni, sulla base di regole stabilite.
Esse sono esposte da Aristotele nei Primi Analitici.
La connessione di due giudizi a un terzo viene definita sillogismo, formulato da Aristotele, nella sua forma più pura, come segue:
  «Se A si predica di ogni B, e se B si predica di Ogni C,
  è necessario che A venga predicato di ogni C.
  È questa la prima figura del sillogismo.»
(Successivamente a venne denominata P, b divenne M e c si mutò in S)
Il silloggismo più noto è:

1.Tutti gli uomini sono mortali,
2.Socrate è un uomo
3.quindi: Socrate è mortale
laddove le frasi 1. e 2. costituiscono le premesse, la frase 3. la conclusione.
"Uomo" è, all'interno di questo sillogismo il termine medio, che scompare nella conclusione.

Accanto a questa primo tipo di sillogismo, Aristotele ne illustra due ulteriori, che si differenziano l'uno dall'altro a seconda della posizione occupata dal termine medio quale soggetto o predicato.
"Induzione-Deduzione"
Una serie di deduzioni costituisce una dimostrazione. Questo metodo viene definito deduttivo, in quanto la sua caratteristica principale consiste nel procedere dall'universale al particolare.
Scopo della scienza, secondo Aristotele, deve anche essere quello di dedurre in modo rigoroso l'esistente da una causa (aitía).
La dimostrazione intesa in senso aristotelico è deduzione (apódeixis).
Il suo opposto è l'induzione (epagogé), descritta da Aristotele nei Topici come sviluppo dal particolare all'universale.

Discostandosi chiaramente da Platone, Aristotele afferma che l'acquisizione di sapere è possibile anche attraverso l'induzione collegando conoscenze già note ed esperienza.
Scopo della scienza è pertanto riuscire a dedurre rigorosamente il particolare da una causa prima generale, ma il percorso da compiere in questa direzione passa necessariamente attraverso l'induzione.
Apodittica (dimostrativa) è solo la scienza definitoria, ma le sue cognizioni sono ricavate dall'induzione.
L'induzione ricerca gli elementi comuni all'interno di un genere.
La suddivisione di tutto l'esistente rende possibile la definizione (horismós).
Essa è costituita dal genere e dalle differenze che formano la specie: (p. es. l'uomo è un essere razionale).

La correlazione di induzione e deduzione fa sì che venga capovolto il rapporto tra anteriore e posteriore:
il generale, propriamente anteriore, viene successivamente riconosciuto quale particolare posteriore.
Induzione e deduzione

Il principio primo e generale non è, comunque, dimostrabile:
   «Principio è la premessa immediata di una dimostrazione.
   E immediato, in quanto non ne esiste altra precedente.»
Ciò vale perché una deduzione della deduzione condurrebbe all'infinito.
Aristotele stesso definisce un tale principio
principio della contraddizione:
  «È impossibile che la stessa cosa convenga e l'insieme
  non convenga a una stessa cosa e per il medesimo rispetto.»
"Metafica"
Aristotele Insegna

Nel primo libro della Metafisica, Aristotele si discosta da Platone, del quale critica la teoria delle idee:
  «"Le idee" non contribuiscono neppure alla scienza delle cose
  diverse dalle idee... né all'essere delle cose, dal momento che
  non ineriscono alle cose che partecipano ad esse.»

Da questo risulta chiara la differenza più rilevante fra maestro e allievo:
Aristotele intende superare il dualismo platonico fra le idee e l'oggetto reale.
Pertanto egli sostiene che:
«l'essenza delle cose risiede nelle cose stesse».
Secondo Aristotele la sostanza (ousía) delle cose può esistere solo all'interno di esse.
Egli considera anche i generi sostanze, ma solo in senso derivato.
In proposito Aristotele elabora un altro dualismo:
quello di materia (hyle) e forma (éidos/morphé).

Esse si presentano sempre insieme nell'oggetto: la pura materia è rara a trovarsi così come la Pura forma.
Egli unifica i concetti di forma e materia nel divenire: sul "sostrato" della materia si costruisce la forma degli oggetti.
Nella materia l'essenza è posta come possibilità;
attualità e realtà (enérgeia) le vengono solo attraverso la forma.
L'essenza delle cose non risiede in un'idea trascendente di queste, ma si realizza nella successione del loro manifestarsi.

da materia aforma

Questo dispiegarsi dell'essenza viene chiamato da Aristotele entelechia.
Il termine deriva da télos (fine):
secondo la concezione aristotelica, ogni mutamento presuppone il fine di procedere dalla realizzazione in potenza alla realizzazione in atto della ousìa;
qui Aristotele fa propria, assegnandogli un ruolo fondamentale nella sua metafisica, la concezione teleologica di Platone.
"Il divenire"
Conformemente a questo, Aristotele indica, per il divenire, quattro cause: - causa formale; un oggetto si determina in base alla sua forma. per esempio una casa in base alla sua pianta;
- causa finale; secondo il pensiero teleologico di Aristotele, nulla accade senza un fine: una casa, per esempio, ripara dalle intemperie;
- causa efficiente; ogni sviluppo necessita di un motore (un agente) che lo ponga in movimento: una casa, per esempio, sorge dal lavoro dei muratori e dei carpentieri;
- causa materiale; ogni oggetto è costituito da materia:
una casa da mattoni, pietre, ecc.

Le quattro cause di Aristotele

Quest'ultima causa è responsabile della causalità e dell'irregolarità degli oggetti:
la materia "si chiude" alla plasmatura.
All'essenza dettata dalla forma, la sostanza, si oppongono le costrizioni (ariarike) della materia, da cui si produce il puro caso:
Aristotele lo definisce symbebekóta, la tradizione accidente.
Il determinato, la sostanza, è in correlazione con la intelligibilità astratta, mentre l'indeterminato, il casuale, l'accidente è correlato all'inintelligibilità, da cui, sulla base delle premesse della logica aristotelica, deriva l'eliminazione dell'accidentale nella scienza.

Il ruolo della ragione nella filosofia aristotelica è stato spesso paragonato ai raggi X:
penetra attraverso ciò che è conoscibile dai sensi, ma non essenziale, sino all'intelligibile ed essenziale.
Dal concetto di divenire deriva, secondo il sistema elaborato da Aristotele, anche l'idea di una struttura stratificata del mondo, dal livello più basso, la pura materia, al livello più alto, la pura forma, e caratterizza tutta la fisica aristotelica.

Conformemente a ciò, pertanto, il Supremo, la divinità, deve necessariamente essere pura forma.
Poiché Aristotele collega forma e pensiero, il suo Dio è puro spirito, ha se stesso quale oggetto di pensiero (pensiero che pensa se stesso), ed è immerso nella theoria, la pura contemplazione spirituale di se stesso.
Un ulteriore attributo nasce dal fatto che il mondo, nel suo continuo divenire, necessita del movimento.
Poiché, peraltro, l'impulso a movimento non può sussistere all'infinito, deve esistere un primo motore, che sia, di per sé, immobile.
Questo motore immobile è il dio aristotelico.
Complessivamente, tutte le cause, esclusa quella materiale, agiscono in modo concomitante nel rapporto dinamico fra Dio e il mondo.
La divinità aristotelica non ha interesse per le cose del mondo, non interviene nel suo divenire e non ne è influenzata.
Poiché essa stessa è immota, il mondo non viene posto in movimento dall'attività della divinità, bensì dall'aspirazione "nostalgica" della materia verso Dio come pura forma.

"Psicologia"
psicologia secondo Aristotele

Nella sua psicologia, Aristotele distingue tre gradi dell'anima, che corrispondono alle suddivisioni esistenti in natura:
  l'anima vegetativa,
  l'anima sensitiva e
  l'anima razionale,
propria esclusivamente dell'uomo.
All'anima vegetativa compete il nutrimento,
alla sensitiva la sensazione e il movimento locale,
alla ragione (noùs) l'attività intellettiva.
Inoltre,l'anima è la forma della materia corporea:
«L'anima è l'atto primo del... corpo naturale che ha vita in potenza».

L'intelletto assume una posizione particolare:
esso si suddivide in passivo e attivo, laddove il primo rappresenta la materia (potenzialità) e il secondo la forma (attualità).
L'intelletto potenziale, che è collegato alle percezioni dell'anima sensitiva, coglie gli oggetti del pensiero sulla base della forma, mentre l'intelletto attivo è in assoluto il principio che tutto produce per l'attività del conoscere.
Contrariamente alle altre parti dell'anima, l'intelletto attivo non è indissolubilmente legato al corpo e pertanto è immortale.
Poichè, peraltro, il pensiero ha origine esclusivamente nel rapporto con l'esperieza, l'intelletto attivo, dopo la morte del corpo, a differenza di quanto sostenuto da Platone, riafferma la sua natura universale.

"Etica"
l'etica di Aristotele

L'etica aristotelica ha per oggetto l'ambito dell'attività pratica umana quale agire fondato sulla scelta e pertanto si delimita rispetto alla filosofa teoretica che si concentra sull'immutabile, l'eterno.
Ogni essere tende, per natura, a un Bene a lui proprio, nel quale egli trova la sua perfezione.
Il Bene proprio dell'essere umano consiste nell'agire dell'anima secondo ragione.
Così agendo, l'uomo raggiunge l'eudemonia (felicità), che è slegata da ogni forma di contingenza, quale meta del suo tendere verso il Bene.
Un passo dell'Etica nicomachea recita:
  «Se consideriamo quale capacità propria
  dell'individuo una determinata esistenza
  e come tale determiniamo l'attività dell'anima
  e le azioni secondo ragione... e se diviene
  eccellente ciò che viene comiuto nel senso
  di tale capacità, allora il bene per l'uomo
  consiste nell'attività dell'anima in base alle sue
  particolari attitudini (perciò alla ragione).»

Per determinare in modo più definito il Bene virtù dell'anima, Aristotele distingue tra virtù dianoetiche e virtù etiche.
Le virtù dianoetiche consistono nell'esclusivo esercizio dell'attività razionale, che Aristotele suddivide nella ragione teoretica e nella ragione pratica.
Fra queste, determinante ai fini dell'agire etico è solo la ragionevolezza (fronesi).
Le virtù etiche vengono diffuse dall'ordine vigente nella società e nello stato (pólis) e traggono la loro validità dalla tradizione e dal consenso generale (p. es. avvedutezza, generostà).
Caratteristica della posizione aristotelica è che il comportamento etico (héxis) non scaturisce dalla sapienza, ma si acquisisce attraverso la vita pratica:
tramite l'esercizio, l'abitudine e lo studio.
Pertanto la specifica determinazione della virtù si stabilisce sulla base del giudizio e dell'esempio di quanto è stato conosciuto.

Medietà tra due estremi

La sostanza della virtù etica è determinata quale medietà (mesótes) fra eccessi opposfrati, come ra , per esempio, il coraggio ("mezzo" pau e temerarietà), la moderazione (fra voluttà e apatia), la generosità (avarizia e prodigalità).
Particolare considerazione viene riservta alla giustizia, che è la virtù più importante a in rapporto alla comunità.
In qualità di giustizia distributiva, essa si adopera per una equa distribuzione dei beni e degli onori nella società;
quale commutativa funge da correttivo per eventuali danni subiti.
Altra virtù essenziale è, per Aristotele, l'amicizia, attraverso la quale l'uomo realizza il passaggio dall'individuo alla collettività.
"Dottrina dello stato"
Lo stato aristotelico

Nella trattazione della dottrina dello stato, emergono chiaramente alcune caratteristiche del metodo aristotelico e della stessa personalità del filosofo:
contrariamente a Platone, l'empirico Aristotele trae gran parte delle sue conoscenze da studi comparativi.
Allievo e maestro hanno una posizione diversa riguardo alla concezione dello stato:
Platone ipotizza uno stato nella sfera ideale,
Aristotele in quella del possibile.
«non bisogna Pensare solo allo stato migliore, ma anche a quello possibile.»

Riguardo al costituirsi dello stato, diversamente da Platone, Aristotele non considera quale impulso all'unione la debolezza del singolo, bensì la sua naturale inclinazione ad associarsi In comunità.
La formulazione classica di questo concetto è espressa dalle seguenti parole:
«L'uomo è per natura un animale politico».
Anche la lingua è, secondo Aristotele, indice del fatto che l'uomo non è strutturato ai fini della mera sopravvivenza, ma in funzione di una collettività che deve accordarsi sul necessario, il bene, il giusto.
Come Platone, anche Aristotele individua il compito dello stato nell'educazione morale dei cittadini, perché la sua ragion d'essere è finalizzata a un'esistenza felice e giusta.
Solo all'interno della compagine statale può svilupparsi in tutta la sua pienezza la virtù del singolo.
Lo stato si costituisce a partire da una successione di comunità sempre più ampie:
in origine si ha una comunità di due individui
(uomo-donna, padre-figlio, padrone e schiavo), che insieme costituiscono la comunità domestica: l'unione di più famiglie formano il villaggio; dalla riunione di più villaggi deriva la pólis.
Solo la pólis garantisce l'autarchia (l'autosufficienza e l'indipendenza) della comunità.
La forma della pólis è la costituzione:
«Lo stato è la comunità dei cittadini di una determinata costituzione.»

La polis aristotelica

Secondo Aristotele esistono, come per Platone, tre "rette" forme di governo e tre degenerazioni corrispondenti, con il mutamento dell'una e altra:
monarchia e tirannide, aristocrazia e oligarchia, democrazia e demagogia.
Il criterio secondo il quale esse sono ordinate si basa sul numero dei detentori del potere:
uno - alcuni - tutti.
La forma di governo migliore, è quella che ha come fine il benessere della collettività.
Mentre la peggiore persegue esclusivamente gli interessi dei governanti in carica.

Aristotele non mostra preferenza specifica per una delle tre forme di governo "rette".
La forma che garantisce maggior stabilità e risulta essere più realizzabile è la politia (forma moderata della democrazia).
Si tratta di una forma mista risultante dagli aspetti più pregevoli delle altre costituzioni e corrisponde al principio, formulato nell'etica, della virtù quale "medietà" fra due estremi.
Al di là di questo Aristotele trae dalla sua indagine storica la conclusione che la migliore forma di governo sia quella che, a seconda del caso, si rivela più adeguata a soddisfare le esigenze del paese e dei suoi cittadini.
Per conservare l'ordine interno dello stato Aristotele sostiene la necessità della famiglia e della proprietà privata:
la famiglia come comunità è più fondamentale del villaggio e il villaggio dello stato e pertanto la prima è da preferire quale ordine naturale della società, nonostante sia lo stato a essere in gran parte responsabile dell'educazione dei giovani.

"Poetica"
la tragedia secondo aristotele

Un ramo della filosofia pratica è costituito dalla Poetica.
Nello scritto che porta lo stesso nome, Aristotele delinea una teoria della poesia, in particolare della tragedia, il cui risultato è rimasto senza eguali.
Concetti fondamentali sono:
- l'imitazione (mímesis): l'arte deve rappresentare la realtà, ma non copiarla (contrariamente alla storia);
- L'unità di tempo, luogo e azione: l'azione deve essere unitaria, coerente e compiuta e la durata limitarsi a circa dodici ore;
- la catarsi (purificazione): l'arte ha funzione purificatrice per lo spettatore, che, identificandosi con quanto rappresentato, placa le sue tensioni emotive.

L'influenza esercitata da Aristotele sul pensiero occidentale è paragonabile solo a quella di Platone e, in epoca moderna, di Kant.
Nel Medioevo la sua dottrina costituì uno dei fondamenti della scolastica.
Fino agli albori dell'Età moderna la sua opera ebbe validità indiscussa.