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"WITTGENSTEIN"
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LUDWIG WITTGENSTEIN (1889-1951) occupa una posizione particolare nell'ambito della filosofia contemporanea in quanto
«ha elaborato due diverse filosofie delle quali la seconda non può essere considerata una continuazione della prima». (W.Stegmùller)
La prima è esposta nell'unico scritto di maggior ampiezza edito dall'autore stesso, il Tractatus logico-philosophicus (1919), la seconda nelle Osservazioni filosofiche, pubblicate postume nel 1953.
Ci fu, effettivamente, una "frattura" nella vita del filosofo
(fra il 1919 e il 1926 ca.) che consente di distinguere due diversi periodi.

A Wittgenstein si richiamano due correnti filosofiche di rilievo: la filosofia analitica di impronta anglosassone e la filosofia del linguaggio (filosofia del linguaggio comune).
Il linguaggio di Wittgenstein è semplice e privo della usuale terminologia, ma egli impiega concetti come immagine, mondo, sostanza, etica, e altri ancora in modo originale.

Nel Trattato, il giovane Wittgenstein si accosta alla filosofia dall'esterno come costruttore (e non tanto come matematico), scomponendola in logica e mistica per poi ricomporre le parti in proposizioni numeriche.
Le proposizioni principali rappresentano la struttura logica del testo.
Le proposizioni che seguono decimali interpretano principalmente le sette proposizioni centrali ma sono spesso più importanti.
La proposizione prima recita, per esempio:
    «1.) Il mondo è tutto ciò che accade.»
A questa seguono le proposizioni (esplicative):
    «1.I) Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose»
    «1.II) Il mondo è determinato dai fatti e dall'essere essi tutti i fatti».

Il Trattato fa in parte riferimento all'analisi del linguaggio elaborata da Russell, che Wittgenstein sviluppa nella teoria delle raffigurazioni:
il mondo consiste di cose e delle loro "configurazioni", gli stati di cose.
Le cose costituiscono la sostanza del mondo e come tali sono semplici, immutabili e dipendono dagli stati di cose.
Nello stato di cose le cose sono collegate fra loro da una relazione.
Queste relazioni costituiscono la struttura logica del mondo e quindi anche gli elementi comuni del linguaggio e del mondo.
    «Il disco fonografico, il pensiero musicale, la
    notazione musicale, le onde sonore, tutti stanno
    l'uno all'altro in quella interna relazione
    di raffigurazione che sussiste tra linguaggio e
    mondo. A essi tutti è comune la struttura logica.»
La forma universale di uno stato di cose è
    "aRb", ovvero «a sta in un rapporto con b».
Questo vale anche per la forma di proposizioni elementari, in ognuna delle quali è rappresentato uno stato di cose semplice.
Una proposizione elementare è composta di nomi, il cui significato è rappresentato da oggetti e dalle loro connessioni.
    «Per comprendere l'essenza della proposizione
    pensiamo alla grafia geroglifica, che raffigura
    i fatti che descrive.»
Una proposizione è quindi sensata se rappresenta il sussistere o non sussistere di stati di cose.

Se si combinano proposizioni elementari il valore di verità della nuova proposizione si ottiene dai valori di verità delle proposizioni più semplici che la compongono (teoria del valore di verità).
Una proposizione è quindi vera se raffigura non un fatto possibile ma un fatto reale.
Wittgenstein rappresenta le combinazioni possibili tramite tavole.
Come estremi compaiono la tautologia, vera per ogni possibilità di verità e la contraddizione, non vera per alcuna possibilità di verità.
«Io non so, per esempio, nulla del tempo se so che piove o non piove», è l'esempio classico che Wittgenstein cita per la tautologia.
La contraddizione qui corrispondente sarebbe: «Piove e non piove», che risulterebbe falsa per entrambi i casi.
L'ambito del linguaggio significativo è da collocarsi in mezzo ai due precedenti: gli enunciati delle scienze della natura su stati di cose empirici.
(La logica stessa consiste, al contrario, di tautologie.)
In tal modo «l'impensabile è limitato dall'interno dal pensabile».
Al di là di questo limite è l'elemento mistico:
l'io, Dio, il senso del mondo.
Esso mostra sé; per esempio: «La soluzione del problema della vita si scorge nel dileguarsi di questo problema.»
Per gli ambiti come l'etica, la religione, l'arte valgono le ultime frasi del Trattato:
    «Quand'anche avessimo risposto a tutte le
    possibili questioni della scienza non avremmo
    ancora neppure toccato i problemi della vita...
    Su ciò, di cui non si può parlare si deve tacere.»
Non si tratta, però, in contrasto con l'opinione del circolo di Vienna e degli empiristi logici che a esso facevano capo, di critica metafisica, bensì di etica.
In una lettera del 1919, Wittgenstein scrive:
    «... il senso del libro è di ordine etico... Volevo,
    cioé, scrivere che la mia opera si compone
    di due parti: di quella che vi si presenta e di
    tutto quello che non ho scritto. E proprio questa
    seconda parte è la più importante. Infatti il
    mio libro, in certo modo, delimita dall'interno l'eticità.»
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Più tardi, nel 1945, Wittgenstein sostenne l'esistenza di «gravi errori» nel Trattato, cosa che lo indusse a ripudiare le sue tesi precedenti «con micidiale indifferenza».
Le Osservazioni filosofiche costituiscono una lettura più facile rispetto al Trattato e tuttavia disorientano per la forma degli interrogativi apparentemente ingenui come, per esempio:
«Ma un concetto confuso è propriamente un concetto? Una fotografia sfocata è poi l'immagine di un uomo?»
Le Osservazioni filosofiche offrono una teoria del linguaggio flessibile, che culmina nella frase:
«Un'intera nube di filosofia condensa in una gocciolina di grammatica»

La critica di Wittgenstein comprende anche la teoria dell'immagine del linguaggio: una parola non è sempre comprensibile come rappresentativa di un oggetto.
Si pensi a un gioco linguistico, nel quale una persona dà a un'altra l'ordine di porgergli una lastra o una trave.
Il collegamento della parola "lastra" alla lastra stessa si può ottenere indicando direttamente l'oggetto.
Nel caso di altre parole ("ora", "cinque") ciò non è più possibile.
Wittgenstein definisce l'uso di una parola nel linguaggio il suo significato.
Anche l'atomismo logico non è da mantenere.
L'analisi non giunge sino alle ultime proposizioni elementari: l'analisi ultima di una scopa sarebbero il manico e la spazzola, quella di un manico, per esempio, i suoi atomi e le molecole, e cosi via.
Non è chiaro anche sotto quale punto di vista avviene l'analisi: una scacchiera, per esempio, è scomponibile in 32 riquadri bianchi e 32 neri o in nero e bianco e una griglia.
Viene relativizzato l'ideale di esattezza e l'esigenza di un linguaggio ideale corrispondente: «Se dico a qualcuno: "Fermati all'incirca qui!" - può non funzionare questa dichiarazione? E non può fallire anche qualsiasi altra?»

Ora Wittgenstein interpreta il linguaggio con l'aiuto del gioco linguistico: questo termine è usato per mettere in evidenza che il linguaggio è una parte di un'attività o di una forma di vita.
«Passa in rassegna la varietà dei giochi linguistici: descrivere un oggetto in base all'aspetto o a misurazioni - produrre un oggetto in base a una descrizione (disegno) - esporre una sequenza di fatti- ... tradurre da una lingua a un'altra - chiedere, ringraziare, imprecare, salutare, pregare ».
Allo stesso modo delle figure nel gioco degli scacchi, le parole nel linguaggio sono vincolate da regole.
La domanda «Che cosa è effettivamente una parola?» è pertanto analoga alla domanda su una figura degli scacchi.
Entrambe presuppongono, ai fini della risposta, un sistema di regole convenzionale.
Queste regole di grammatica possono anche non essere personali: l'osservare un'unica volta una regola non è possibile.
Espressioni che indicano eventi interiori individuali (p. es. il dolore) non sono, inoltre, nomi, per "oggetti" intemi.
Traggono il loro significato solo nel contesto con espressioni non verbali, l'atteggiamento di colui che parla e l'ambiente.
Wittgenstein chiarisce questo concetto tramite l'immagine delle scatole chiuse: non essendo possibile accedere al contenuto, esso è irrilevante; e poiché una sensazione personale non può essere parte di un gioco linguistico, la sua denominazione è priva di significato.
Allo stesso modo è, per esempio, paradossale assegnare a un attore il ruolo di una persona che reprima completamente i suoi sentimenti.

Il linguaggio lavora in larga misura con analogie, somiglianze o affinità: per esempio, le diverse parentele fra tutto quanto riassumiamo sotto la stessa parola "gioco".
Anche i giochi linguistici rivelano solo somiglianze fra di essi.
L'interrogativo concernente l'essenza della lingua si risolve con la descrizione dell'affinità dei giochi linguistici.

Anche negli scritti postumi, il Libro marrone e il Libro blu, come anche in Della certezza, Wittgenstein varia la sua affermazione, secondo la quale il filosofo tratta «un interrogativo come una malattia».
La filosofia è «una lotta contro lo stregamento della nostra ragione con gli strumenti del linguaggio» e il suo fine è indicare «alla mosca la via d'uscita dalla trappola».
Egli descrive il risultato come «la scoperta di un qualche schietto non-senso», laddove «l'intelletto, cozzando contro i limiti del linguaggio, si è fatto bernoccoli».
Il mondo viene misurato tramite il linguaggio, i suoi confini sono pronunciabili logicamente.
L'inesprimibile, il "segreto", può solo essere indicato.
Anche qui la filosofia non è una dottrina ma un'attività: Il mostrare avviene conformemente all' esistenza.
Una particolarità della filosofia di Wittgenstein è la sua completa strumentalizzazione.
Essa aiuta a chiarire il proprio punto di vista e non deve mai essere fine a se stessa.
Un'immagine ne illustra la funzione: una scala viene utilizzata per salire; chi è giunto in cima non ne ha più bisogno.»