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"PRESCOLASTICA"
filosofica di Titolo
Prescolastica
All'antichità fece seguito per diversi secoli un'epoca nel corso della quale venne operata principalmente una conservazione del patrimonio intellettuale.

Un'eccezione è rappresentata, in questo periodo, dal produttivo lavoro dell'irlandese GIOVANNI SCOTO ERIUGENA (810-877 ca.), che, intorno all'850, venne chiamato da Carlo il Calvo presso la scuola Palatina.
Tutta la sete di sapere dell'uomo deve risolversi nella fede.
Tuttavia, la ragione ha il compito di chiarire il significato della rivelazione.
Tra la fede e la vera ragione non esiste contraddizione alcuna.
Si deve seguire l'autorità dei padri della chiesa soltanto se essa è in armonia con la rivelazione.
Nel caso si trovassero in contrasto autorità e ragione, bisogna preferire quest'ultima.
Nell'opera De praedestinatione, Scoto Eriugena interviene in una celebre controversia, sostenendo che la libertà della volontà umana è strettamente collegata alla fede cristiana; egli considera inconciliabile con la bontà divina l'attribuzione di pene (infernali) per gli uomini (l'inferno è il pentimento).

Nella sua opera principale, De divisione naturae, Eriugena distingue quattro specie di natura:
- la natura che crea e non è creata (Dio creatore);
- la natura che è creata e crea (le idee divine, archetipi della terza specie);
- la natura creata e non creante (le cose sensibili, le creature);
- la natura non creata e non creante (Dio che riposa nella sua perfezione, una volta compiuta la creazione il fine ultimo di tutte le cose).

La creazione nel suo complesso è da intendersi come teofania, manifestazione del Dio nascosto in tal modo si autodetermina.
L'intelletto umano è la chiave di accesso al mondo, che rivela il manifestarsi di Dio.

ANSELMO D'AOSTA (1033-1109) è considerato il più importante teologo dell'XI secolo e "padre della scolastica".
Anselmo sostiene che la fede stessa tende verso una comprensione razionale (fides quarens intellectum).
La fede costituisce comunque sempre il punto dì partenza e il contenuto dei dogmi non può venire contestato da alcun motivo razionale; tuttavia, la vera ragione conduce necessariamente alla verità della fede.
Il cristiano dovrebbe, pertanto, cercare di comprendere la sua fede razionalmente.

Anselmo cerca di dimostrare che i contenuti della dottrina cristiana si possono sviluppare semplicemente da motivi razionali.
Su questa convinzione è fondato il celebre argomento ontologico, attraverso il quale nel Proslogion, il filosofo vuole dimostrare razionalmente l'esistenza di Dio, in modo da poter convincere anche l'ateo.
Dio viene determinato come:
«l'essere di cui non si può pensare nulla di maggiore (aliquid quo maius nihil cogitari potest)».

Anche l'ateo comprende questa definizione e, comprendendola, la possiede nella mente.
Se ora si ammette che sia più compiuto un essere che non solo può essere pensato, ma che, inoltre, esiste nella realtà, allora «l'essere di cui non si può pensare nulla di maggiore» deve esistere realmente.
Anselmo amplia quindi l'argomento, stabilendo che, sulla base della definizione di partenza, la non esistenza di Dio non può essere pensata, in quanto qualcosa che esiste necessariamente è più compiuto di qualcos'altro di cui non si può concepire l'esistenza e che, quindi, esiste casualmente.

L'argomento provocò, in periodo posteriore, violente discussioni; Kant, fra gli altri, ne elaborò una confutazione nella sua Critica della ragion pura.

Prima che Dio creasse il mondo, esso esisteva nella sua mente sotto forma di idea.
Gli archetipi sono la voce interiore di Dio e il mondo creato è l'immagine della sua parola.
Esso non può trarre alimento alla sua esistenza da se stesso ma necessita del sostentamento divino.
L'anima umana è un'immagine di Dio dotata di tre facoltà principali:
memoria, intelletto e amore.
Essa è stata creata allo scopo di amare Dio quale Sommo Bene.

Nel dialogo De veritate, Anselmo delinea tre livelli di verità:
- le verità eterne in Dio (idee);
- la verità delle cose, che si fonda sull'armonia con la verità divina;
- la verità del pensiero e della definizione, che consiste nell'armonia con le cose.

La più sintetica definizione di verità formulata da Anselmo è la seguente:
«La verità è la rettitudine percepibile solo dall'intelletto (veritas est rectitudo mente sola perceptibilis).»

Riferita all'uomo, rettitudine significa disposizione di tutto l'individuo
(nel pensiero, nel comportamento e nella volontà)
all'eterno fondamento dell'essere in Dio,
il giusto affidarsi all'essere,
che rende possibile l'incontro con la Verità.

In epoca medievale suscitò grande interesse il problema degli universali.
Gli universali sono concetti generali, generi (p. es. essere vivente, uomo), a differenza delle entità particolari.

Il problema fondamentale è stabilire se agli universali si debba attribuire una realtà propria e le entità particolari siano quindi loro derivazioni dipendenti o se, piuttosto, solo le cose sensibili esistano realmente e gli universali siano puri nomi costruiti dagli uomini.

L'elemento esterno che fece sorgere questo problema fu un passo tratto dalla Isagoge di Porfirio, che venne citato da Boezio:
i generi e le specie esistono di per sé o solo nel pensiero; se essi esistono realmente, sono dotati di corpo o sono incorporei; sono separati dalle cose sensibili o sono uniti a esse?

Secondo la posizione realista la realtà è costituita solo dagli universali, che esistono di per Sé.
Le entità particolari sussistono solo come forme subordinate dell'essenza loro comune.

GUGLIELMO DI CHAMPEAUX (1070-1121) Sostenne, per esempio, l'opinione che a tutti gli individui sia comune una medesima sostanza, indivisibile e presente in ogni essere umano e alla quale si riferisce, come all'elemento reale di base, la parola "uomo".
Abelardo gli obiettò che, in tal caso, alla stessa sostanza si sarebbero dovute attribuire qualità opposte.
Se, per esempio, la sostanza "essere vivente" fosse comune all'uomo e all'animale, essa dovrebbe essere razionale e priva di ragione al tempo stesso.
Pertanto, in un momento successivo, Guglielmo modificò la sua opinione, asserendo che l'universalità sussiste negli elementi di uno stesso genere, laddove essi sono non-differenti, e quindi nella mancanza di una differenza.

Per i nominaiisti sono reali esclusivamente le entità particolari (individui), mentre gli universali esistono solo nella mente umana.
Essi possono essere intesi come concetti astratti delle cose o come nomi arbitrari.
Pertanto, ROSCELLINO (1050 ca.) definì gli universali puri nomi
(universale est vox).

PIETRO ABELARDO (1079-1142) fu il rappresentante, nell'ambito del problema degli universali di una corrente vicina al nominalismo, che e stata anche definita concettualismo.
Gli universali rappresentano, prima degli uomini e delle cose, le idee, gli archetipi delle cose, il contenuto dell'intelletto divino.
Nelle cose gli universali sussistono come presenza di una comunanza.
Tuttavia, questa corrispondenza non esiste in sé (res), bensì viene compresa dalla mente umana attraverso un processo di astrazione.
Il concetto (conceptus) delle cose, perciò, non viene costruito arbitrariamente, ma è, piuttosto, il risultato di un'astrazione, che ha un fondamento nelle cose stesse.

Riguardo alla conoscenza umana, l'universalità è attribuibile solo ai nomi.
Non ai nomi stessi, quanto al loro contenuto, al significato.
Pertanto, Abelardo distingue tra vox (suono naturale) e senno (significato delle parole), al quale egli attribuisce carattere di universalità.
Abelardo si chiede, inoltre, se gli universali siano legati a una cosa definita o se, piuttosto, a causa del loro significato possano continuare a esistere quando le cose definite non sono più presenti (p. es., il nome della rosa, quando non c'è più rosa alcuna).

Egli distingue, pertanto, fra la funzione denominativa e la funzione significante di una espressione.
Il nome della rosa non può essere più espresso da nulla se non ci sono più rose, ma la frase «Non ci sono rose» ha un significato.

Nella sua opera Sic et non, Abelardo raccoglie una gran quantità di frasi contraddittorie tratte dalla Bibbia e dagli scritti dei padri della chiesa.
Così facendo, egli dimostra che i testi delle autorità necessitano di interpretazione e non possono venire assunti rigidamente.
Egli offre un contributo significativo allo sviluppo del metodo scolastico, nell'addurre opinioni diverse insieme ai loro fondamenti, nel verificarle e, laddove sia possibile, condurle a una soluzione.

La dottrina etica di Abelardo è sostenuta nel suo Scito te ipsum.
L'azione esteriore è, come tale, moralmente indifferente; dipende esclusivamente dall'intenzione (intentio) o disposizione.
Essa si rivela nell'atto interiore del consenso a un desiderio.
Pertanto le inclinazioni, come tali, non sono già buone o cattive; solo l'atto del consenso verso quanto non è lecito è peccato.
Il Bene consiste nell'accettare la volontà di Dio, il male nel disdegnarla.
L'azione esteriore non aggiunge nulla a questo atto interiore.

Significativo fu anche, per la vita intellettuale del XII secolo, lo sviluppo di centri culturali (scuole).
Fra questi, famose furono la scuola di Chartres e quella dell'abbazia di San Vittore presso Parigi, che godette di grande fama sotto UGO DI SAN VITTORE; egli si adoperò ai fini di dare una sistematicità enciclopedica delle scienze e fu, al tempo stesso, legato alla mistica.