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"IMMAGINE DELL'UOMO"
filosofica di Titolo
Immagine dell'uomo
Nell'ambito del processo di affrancamento dalle catene della tradizione teologico-scolastica, del confronto con popoli sino ad allora sconosciuti conseguente ai viaggi di esplorazione e dell'ideale umanistico degli studia humanitatis, la riflessione sull'essenza e sul ruolo dell'uomo diviene un tema centrale.
Figura ideale dell'Umanesimo è l'uomo universale, che si pone al di sopra delle differenze di classe, possiede una vasta cultura e, ampliando le conoscenze, realizza la sua disposizione all'apprendimento della verità.
Ricca degli ideali dell'humanitas classica e a essa collegata è la condotta morale, che si rivela attraverso le virtù della moderazione, della giustizia, della sensibilità estetica, dell'armonia con la natura, senza trascurare il ruolo delle virtù sociali all'interno della comunità civile.

Il platonismo rinascimentale, con il suo principale esponente
MARSILIO FICINO (1433 -1499), sottolinea, in particolar modo,
la determinazione dell'uomo quale essere spirituale.
L'anima immortale dell'uomo è il centro e il legame dell'universo, poiché essa rappresenta l'elemento di connessione fra le sfere di quanto e meramente corporeo e quelle del puro intelletto divino.
Se, in virtù della ragione, l'anima riesce a liberarsi dell'elemento corporeo, può ritrovare la sua origine divina.

GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA (1463-1494), fu allievo di Ficino, nella sua orazione De hominis dignitate fonda la libertà, traendone l'origine dalla fermezza dell'intelletto: poiché al termine della creazione Dio aveva distribuito tutte le qualità all'uomo non rimase più nulla di Proprio.
Perciò Dio gli disse:
    «Tu non sei ostacolato da alcun limite invalicabile;
    al contrario, devi predeterminare a te stesso la tua natura...
    secondo la tua propria libera volontà.
    Io ti ho posto al centro dell'universo
    in modo che tu da là possa osservare,
    guardando intorno a te, tutto quello che esiste
    in questo mondo... Sta a te scegliere se degenerare
    nel basso mondo animale, o, tramite la decisione
    del tuo stesso intelletto, innalzarti
    verso il superiore mondo del divino.»

L'uomo, determinato dal suo intelletto, può osservare tutte le forme create da Dio ed è libero di creare la sua propria essenza.
Egli sta al centro dell'universo.
Questa impostazione è importante per il rilievo che dà alla soggettività; tuttavia, il platonismo tende a porre in secondo piano sia la corporeità dell'uomo che il suo riferimento sociale, a favore di una concezione contemplativa dell'esistenza.
Altri pensatori cercarono di superare questa parzialità, ponendo l'accento sulla stretta connessione di anima e corpo e concependo l'uomo come un essere socialmente strutturato.

CRISTOFORO LANDINO (1424-1498) scrisse:
    «... pertanto, se consideriamo l'uomo, ci figuriamo
    quella totalità, che consiste al tempo
    stesso di corpo e di anima... La natura, madre
    eccellente, ci ha creato per prendere attivamente
    parte alle relazioni sociali e per la
    conservazione della comunità umana.»
Pertanto è necessario che l'uomo risponda a criteri di totalità,
privilegiando un modus vivendi fondato sull'esperienza.

Anche PIETRO POMPONAZZI (1462-1524) sottolinea, come esponente dell'aristotelismo, il primato della ragione pratica.
L'anima umana ha bisogno, per agire, dell'intervento delle impressioni dei sensi, ed è pertanto inconcepibile senza la parte corporea.
La sua immortalità è logicamente indimostrabile.

Un altro motivo, oltre a quelli contenuti nel Rinascimento italiano,
si rileva nella figura più significativa
dell'Umanesimo francese, MICHEL DE MONTAIGNE (1533-1592).
Egli fondò, con i suoi Saggi, un genere letterario dalla forma libera e personale.
Il detto di Montaigne "Che cosa posso sapere?" contraddistingue il suo atteggiamento di fondo, impregnato di scetticismo.
Il mondo ci appare in continuo divenire e confuso con la molteplicità delle cose, al punto che la ragione si inganna se crede di poter cogliere qualcosa di immutabile e di eterno:
    «Alla fine non esiste nulla di costante,
    né nella nostra essenza,
    né nell'essenza delle cose.
    Anche noi, come il nostro giudizio
    e tutto ciò che è mortale,
    transitiamo fluttuando.»
Pertanto, Montaigne considera le scienze della natura nient'altro che poesia sofistica e la tradizione filosofica dominata dall'anarchia.
Anche la vita umana appare solo governata dall'incertezza, dal dubbio, dalla costante minaccia della morte (concetti di fondo del futuro esistenzialismo).
L'atteggiamento scettico non sfocia, peraltro, in rassegnazione, bensì salva da ipocrisie ed educa all'autonomia del giudizio e alla sicurezza interiore.
La propria esperienza si rivela quindi la migliore fonte di conoscenza e il proprio sé la materia più adatta.
Analizzando la propria interiorità, l'uomo trova la sua natura e scopre, al tempo stesso, la struttura globale dell'umanità, La natura ordinatrice
- intesa in senso stoico - viene elevata a criterio e guida per un'esistenza conforme alle situazioni.