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"EMPIRISMO"
Hobbes:empirismo

Empirismo I
THOMAS HOBBES (1588-1679) concentrò i suoi intenti sulla costruzione di un sistema filosofico scevro di congetture metafisiche e basato sulle scienze naturali e sulla matematica del tempo.
Le opere principali sono gli Elementa philosophiae e Leviathan, che, con la sua efficace teoria del contratto sociale, è divenuto un classico della filosofia dello stato.
Secondo Hobbes la filosofia è conoscenza razionale di connessioni causali, e perciò è lo studio dei corpi, la cui creazione e le cui qualità si comprendere concettualmente.
I corpi sono naturali (e di questi fa parte anche l'uomo), o artificiali (lo stato).
Compito della filosofia è l'analisi di accadimenti complessi sulla base dei loro elementi, per risalire ai principi universali.
Il primo princio che contribuisce a chiarire le connessioni esistenti in natura è il movimento.
Tutti i processi sono spiegabili in senso meccanicistico.

La teoria della conoscenza di Hobbes procede dall'idea che certi contenuti concettuali corrispondono a cose indipendenti dal pensiero.
Gli oggetti esterni esercitano sugli organi di senso uno stimolo meccanico, che, successivamente, attraverso la reazione degli "spiriti vitali" interiori produce nel cervello il concetto corrispondente.
Le essenze non costituiscono l'oggetto diretto della conoscenza, bensì i concetti.
A essi vengono associati i nomi, che per l'individuo hanno la funzione di segni di riconoscimento e di segni di comunicazione.

La verità di una proposizione viene stabilita attraverso l'analisi dei concetti in base alla loro definizione specifica e alla loro connessione.
Anche sul piano etico, Hobbes presuppone che le emozioni e gli atti della volontà vengano prodotti dagli stimoli che provengono dall'oggetto e che siano determinati meccanicamente.
Il piacere nasce con l'aumentare del movimento degli spiriti vitali, e l'oggetto che lo produce viene recepito come Bene.
Da ciò deriva l'autoconservazione: ogni organismo mira a conservare il suo movimento vitale e a evitare la morte.

Queste idee conducono direttamente degli alla filosofia dello stato, basata sull'analisi degli elementi di una compagine statale, dell'individuo e della sua natura.
Egli respinge la concezione tradizionale, secondo la quale l'uomo è, per natura, un essere sociale.
Nello stato di natura, l'unica ragione che induce l'uomo ad aggregarsi ai suoi simili è il suo proprio vantaggio, conformemente alla sua disposizione naturale.

Poiché ognuno ambisce al proprio vantaggio a danno dell'altro e aumenta incessantemente il numero di individui cha ambiscono a una stessa cosa, è chiaro
    «che la condizione naturale degli uomini,
    precedente al loro aggregarsi in uno stato, era
    quella di guerra, e cioè.... la guerra di tutti
    contro tutti (bellum omnium contra omnes)».
In tali originarie condizioni l'esistenza è triste, misera e breve.

Poiché, peraltro, l'istinto di autoconservazione è tipico dell'uomo, nasce l'esigenza di una stabilità basata su una pace sicura.
La prima legge naturale afferma, pertanto
«che si deve ricercare la pace,
per quanto è possibile averla».
Ma la sicurezza si può raggiungere solo se non si mantiene il diritto di tutti su tutto, ma se, piuttosto, si trasmettono singoli diritti o si rinuncia ad altri, cosa che accade in base a un contratto vincolante per tutti.

L'osservanza delle leggi naturali può essere garantita solo attraverso la subordinazione dei singoli a un' unica volontà.
Gli individui stipulano un contratto sociale, in base al quale essi si impegnano reciprocamente a non opporre resistenza alla volontà dell'uno al quale tutti si sono sottoposti.
In tal modo nasce lo stato, definito come l'istituzione la cui volontà, in virtù del contratto da tutti stipulato, vale come volontà generale.
Il detentore di questa somma autorità può essere una persona o un'assemblea.
Il suo potere è illimitato, inalienabile e indivisibile.
Hobbes paragona questo stato al Leviatano biblico, simbolo di un potere insuperabile o «di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo la nostra pace e la nostra difesa, sotto il Dio immortale ».
Il dovere massimo per il detentore del potere statale è il conseguimento del benessere del popolo.
Ai fini della coesione del tutto la chiesa deve essere subordinata allo stato.
Locke:empirismo1

Empirismo II
JOHN LOCKE (1632-1704) è una delle figure di maggiore rilievo dell'empirismo inglese, filosofia che pone l'esperienza a suo fondamento: ogni forma di sapere dipende dall'esperienza ed è sottoposta al suo controllo.

Le idee di Locke sullo stato, sulla tolleranza religiosa e in materia di pedagogia esercitarono una notevole influenza sull'Illuminismo e, in ambito politico, sul liberalismo.
Al centro della filosofia di Locke sta la sua teoria della conoscenza, sviluppata nel Saggio sull'intelletto umano.
A essa spetta il compito di esporre l'origine e i fondamenti della conoscenza umana, e, al tempo stesso, scoprire i limiti della facoltà conoscitiva dell' uomo.
Neella propria coscienza, ogni uomo trova determinate rappresentazionii, che Locke chiama idee.
    «Userò, la parola "idea" per qualunque cosa
    sia l'oggetto dell'intelligenza quando l'uomo
    Pensa.»
Ma da dove provengono le idee?
Esse derivano esclusivamente dall'esperienza.

Locke contesta la teoria dell'innatismo, secondo la quale l'uomo possiede idee innate, presenti in lui in una fase precedente a ogni tipo di esperienza.
Al momento della nascita, la nostra mente è come una tabula rasa.
Tutte le rappresentazioni, si sviluppano solo con il tempo e a partire dall'esperienza.
Tuttavia, la capacità di costruire rappresentazioni esiste in precedenza.

L'esperienza si basa su due fonti: la sensazione che deriva dal senso esterno e la riflessione che, derivando dal senso interno, si riferisce agli atti del pensare, del volere, del credere, ecc.
Le idee prodotte da queste due attività possono essere semplici o complesse.
Le idee semplici si suddividono, a loro volta, in idee che:
- possono essere percepite solo da un senso (colori, suoni);
- vengono colte attraverso più sensi (spazio, movimento);
- nascono dalla riflessione (processi interiori della coscenza);
- comportano la partecipazione di riflessione e sensazione (piacere, tempo).
Rispetto alle rappresentazioni semplici la nostra mente si comporta in modo passivo:
esse provengono direttamente dagli stimoli esterni.

Le idee complesse possono essere ricondotte a tre categorie: sostanze, modi e relazioni.
Le sostanze sono cose distinte, sussistenti per se stesse, o specie (come uomini o piante).
I modi sono idee complesse, che non sussistono per se stesse, ma si accompagnano alle sostanze (così il giorno è un modo semplice del tempo).
Accanto a questi, ci sono modi misti, ai quali appartengono anche i giudizi morali (giustizia).
Le relazioni sono idee complesse, come quelle di causa ed effetto.
Il IV libro del Saggio tratta della determinazione della conoscenza:
    «La mente non possiede, con tutto il suo pensare
    e dedurre, nessun altro oggetto immediato
    che le sue proprie idee.
    Pertanto, appare chiaro che la nostra conoscenza
    ha a che fare solamente con le nostre idee.
    La conoscenza non mi sembra essere null'altro
    che la percezione della connessione e dell'accordo
    o disaccordo o ripugnanza tra alcune delle nostre idee.»
L'ambito della nostra conoscenza è pertanto limitato: non può andare oltre le idee che possediamo e fino alla possibilità di percepire l'accordo o il disaccordo fra di esse.
Non ci è neppure possibile avere una visione d'insieme di tutte le nostre idee e dei possibili rapporti esistenti fra di esse.
Perciò, la nostra conoscenza può cogliere la realtà delle cose solo in modo limitato e come la nostra capacità percettiva consente.

A seconda del grado di chiarezza, Locke distingue diversi livelli di conoscenza.
- Il livello più alto è quello della conoscenza intuitva.
In questo caso, la mente percepisce l'accordo o il disaccordo di due idee in modo immediato e tramite se stessa (p. es. che un cerchio non è un quadrato).
- Nel caso della conoscenza dimostrativa, la mente riconosce l'accordo o il disaccordo delle idee idee ma non per via diretta, bensì tramite il ricorso ad altre idee.
A questo tipo di conoscenza appartengono i procedimenti deduttivi in base a prove.
- Vi è, infine, una conoscenza sensitiva dell'esistenza di un numero infinito di singoli esseri al di fuori di noi.

La verità, secondo Locke, si riferisce esclusivamente alle proposizioni, in quanto consiste nella connessione corretta o nella distinzione di segni, con riguardo alla corrispondenza con le cose indicate.
Locke:empirismo2

Empirismo III
Poiché la nostra conoscenza è limitata e nella maggior parte degli ambiti non è possibile raggiungere certezza assoluta, ai fini dell'effettiva gestione dell'esistenza acquista notevole importanza la probabilità, che consente di integrare le lacune conoscitive.
Essa riguarda proposizioni, che, sulla base della nostra propria esperienza o della testimonianza d'altri, abbiamo motivo di ritenere vere.
L'atteggiamento della mente nei confronti di tali proposizioni viene definito credenza, opinione, o assenso.
aggetto della filosofia pratica è, in Locke, tutto quello
    «in cui l'uomo stesso, quale essere che
    agisce in base a ragione e conoscenza,
    deve adpoperarsi per raggiungere un qualsiasi
    fine, in particolare la propria felicità».

Bene e Male vengono determinati in base alla gioia e al dolore prodotto.
L'agire umano è volto a conseguire la gioia (felicità) e a evitare il dolore. Pertanto, i principi normativi, ovvero le leggi morali, sono in rapporto ai premi e ai castighi.
    «ciò che moralmente è bene o male è, quindi,
    solo l'accordo o il disaccordo dei nostri
    atti intenzionali con una legge attraverso la
    quale noi riceviamo del bene o del male a seconda
    della volontà del potere del legislatore.»
Esistono tre tipi di legge morale:
- la legge divina, misura del peccato e del dovere, così come essa è imposta direttamente da Dio all'uomo e viene collegata a una pena o a una ricompensa ultraterrena;
- la legge civile, ovvero le regole imposte dallo stato, la che stabiliscono la punibilità delle azioni;
- la legge dell'opinione pubbica o della reputazione, chiamata o da Locke anche legge filosofica, perché principalmente è stata la filosofia a occuparsene (il vizio e la virtù; il rispetto e il disprezzo).

La filosofia dello stato di Locke è elaborata nei Due trattati sul governo civile.
Per dare una risposta all'interrogativo riguardante l'origine della compagine statale, egli si serve, come Hobbes, della supposizione di uno stato di natura e della stipulazione di un contratto sociale.

Nello stato di natura, precedente all'aggregarsi degli uomuni in società, regnano la piena libertà e l'uguaglianza.
Il singolo ha un illimitato potere discrezionale su se stesso e su i suoi beni.
Tuttavia, ognuno è sottoposto alla legge di natura, il cui sommo principio è la conservazione della natura creata da Dio.
Pertanto, il diritto naturale vieta di arrecare danno alla vita, alla salute, alla libertà e ai beni del prossimo e, ancor di più di distruggerli.
Lo stato di natura potrebbe, perciò, al contrario di quanto sostenuto da Hobbes, corrisptondere a una condizione di pace, se non esistessero individui che costantemente violano la legge su cui esso è costruito.
Poiché tutti sono uguali, ognuno ha diritto di eleggersi a giudice e processare e punire colui il quale ha infranto la pace vigente.
Essendo però ciascuno, in tal modo, giudice di se stesso, questo condurrebbe, di fatto, a un continuo stato di guerra, se non esistesse un'istanza superiore, alla quale spettano il giudizio e la facoltà di imporre le leggi.

Ai fini della pace e dell'autoconservazione, gli uomini si aggregano, pertanto, in base a un contratto sociale, in comunità, affidando a un'istanza superiore il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere esecutivo.
Il potere statale è, però, legato alla legge di natura; in particolare, devono essere rispettati l'istinto dell'individuo all'autoconservazione, la sua libertà e i suoi beni; il benessere generale ha valore di norma vincolante.
Per evitare il rischio di un governo assolutistico è necessaria una ripartizione dei poteri.
Nel caso in cui un governante violi le leggi, il popolo ha il diritto di deporlo tramite una rivoluzione.
Per quel che riguarda l'ercizio della religione, Locke auspica la tolleranza da parte dello stato.
La scelta di apparte a una comunità di fede deve essere libera e lo stato non ha diritto di intromissione nei suoi contenuti.

Un aspetto particolare del pensiero di Locke è la giustificazione della proprietà privata.
Nell'ambito dello stato di natura vige la comunione dei beni.
Ma i beni naturali, per essere utilizzabili e servire alla conservazione dell'individuo, devono essere acquisiti.
La legittimazione della proprietà privata è data dal lavoro.
Ogni individuo ha una proprietà nella propria persona; quanto egli ricava dalla natura attraverso il suo lavoro e quanto egli dà a essa di suo, diviene sua proprietà.
Poiché, peraltro, ognuno è autorizzato ad accumulare quanto può consumare, non si sviluppano, inizialmente, grandi concentrazioni di proprietà.
La situazione muta attraverso lintroduzione della moneta, che avviene con l'assenso di tutta la comunità.
poiché essa consente di raccogliere più di quanto sia possibile consumare, si realizza l'accumulo dei beni, e specialmente di grandi proprietà terriere.
Ma la distribuzione ineguale della proprietà è considerata tacitamente giusta, in quanto l'introduzione della moneta è stata accettata da tutta la società.
Berkeley:empirismo

Empirismo IV
Il filosofo, teologo e vescovo irlandese GEORGE BERKELEY (1685-1753) sviluppa, polemizzando con le dottrine di Cartesio, Malebranche e Locke, la teoria dell'immaterialismo.
Berkeley prende le mosse dalla premessa lockiana secondo la quale solo le idee possono essere oggetti immediati della coscienza.
Esistono due classi di idee:
- le idee che si possono modificare arbitrariaente e in tal modo derivano dalla facoltà immaginativa del soggetto; - le idee che non possono essere arbitrariamente Prodotte dal soggetto, ma sono, piuttosto, percezioni sensoriali provenienti dall'esterno.

L'origine di queste ultime viene abitualmente identificata con le cose materiali del mondo esterno.
Berkeley si volge contro tale "materialismo" cercando di dimostrare che non si può con necessità supporre l'esistenza di cose materiali al di là delle idee, mentre è necessario che l'essere degli oggetti sia il loro essere percepiti.
    «Se io dico che il tavolo al quale scrivo esiste,
    ciò significa che io lo vedo e lo sento; se
    fossi fuori dal mio studio, allora potrei definire
    la sua esistenza in tal modo: se fossi nel
    mio studio lo potrei percepire o potrei pensare
    che qualche altra mente al momento lo sta percependo...
    L'esistenza di queste cose è l'essere percepito.
    Non è possibile che esse posseggono una qualche
    altra forma di esistenza al di fuori delle menti
    o degli esseri pensanti, dai quali essi vengono percepiti.
Esse est percepi aut percipere: l'essenza delle cose è nell'essere percepite, l'essenza del soggetto nel percepire.

Esistono solo idee e spirito, mentre non esiste materia alcuna.
Lo spirito è distinto dalle idee quale percipiente, ovvero ciò all'interno del quale esse (le idee) esistono.
La sua attità consiste in volere, immaginare, ricordare, stabilire rapporti in relazione alle idee.
La supposizione dell'esistenza della materia non significa, in tal modo, nient'altro che l'idea astratta di una "cosa priva di determinazioni", concezioni, secondo Berkeley, inimmaginabile.
Egli crede fermamente all'esistenza di una realtà esterna, indipendente dal soggetto, che si palesa tramite le percezioni sensibili.
Poiché, però, questa realtà non è materiale e tutte le idee esistono solo in uno spirito, gli "oggetti" delle idee sensibili devono essere presenti in un altro spirito che le percepisce.
    «... l'albero reale che esiste indipendentemente
    dalla mia mente viene riconosciuto e compreso
    veramente dall'infinito spirito divino....
    Le idee impresse ai sensi tramite il
    creatore della natura sono cose reali...
    esse hanno parimenti una determinata continuità,
    disposizione e relazione e non vengono fatte emergere a caso.»

Da tali presupposti deriva, per quel che riguarda le scienze naturali, che esse non hanno a che fare con le interazioni sussistenti fra le cose materiali, bensì con l'osservazione e la descrizione condotte secondo un criterio di legittimità, che corrispondono all'ordine permanente con il quale Dio dà origine alle idee e le connette.

L'intento di Berkeley voleva essere quello di conslidare, attraverso la sua dottrina, la morale e la fede, contro il pericolo di favorire lo sviluppo dell'ateismo.
Hume:empirismo

Empirismo V
DAVID HUME (1711-1776) pose come obiettivo del suo percorso filosofico «l'introduzione del metodo di ricerca empirico nella scienza umana», basandosi sull'osservazione e l'esperienza.
Egli fu sostenitore di un mitigato scetticismo, come limite critico delle possibilità conoscitive dell'uomo.
La sua opera principale è il vasto Trattato sulla natura umana, al quale fecero seguito scritti più brevi sulla conoscenza, la morale, la politica e la religione.
Kant disse di Hume che egli fu il solo a destarlo dal suo "sonno dogmatico".

Oggetto immediato della nostra esperienza sono solo i nostri contenuti di coscienza (percezioni), distinti in due classi diverse: impressioni e idee.
Le impressioni sono tutte le nostre percezioni sensibili, le passioni, le emozioni, le intenzioni, così come immediatamente compaiono alla mente.
Le idee, invece, sono copie delle impressioni, che derivano dal rapportarsi a queste ultime attraverso la riflessione, il ricordo, l'immaginazione.
Le due classi si differenziano per il loro grado di intensità, come nel caso della sensazione di dolore provocata da una ferita e del relativo ricordo.
Dalle impressioni derivano le idee semplici.
Non è possibile, quindi, rappresentare o pensare qualcosa che non sia stato in un qualche momento posto alla percezione immediata.
L'uomo possiede, tuttavia, la capacità, in virtù della sua immaginazione, di formare dalle idee semplici idee complesse, che, come tali, non provengono da un'impressione immediata.
La connessione fra le idee segue il principio di associazione, che definisce la tendenza a passare da determinate idee ad altre in base ai principi di somiglianza, contiguità nel tempo o nello spazio, causalità.

Un concetto acquista significato solo quando le componenti dell'idea a esso corrispondente sono riconducibili a impressioni.
Ciò non vale per i concetti metafisici, che, pertanto, non possono essere parte della filosofia.
    «Perciò, nel caso in cui avessimo il sospetto
    che un'espressione filosofica viene usata
    senza senso e senza che a esso corrisponda
    un'idea, cosa che, peraltro, accade fin troppo
    frequentemente, dobbiamo semplicemente
    appurare da quale impressione deriva presumibilmente
    l'idea.
» L'interrogativo che, a questo punto, si pone, riguarda il modo in cui noi perveniamo ai giudizi Che vanno al di là della nostra immediata percezione e dei ricordi.
Hume distingue qui, innanzitutto, fra giudizi su verità di ragione e giudizi su verità di fatto.

I primi appartengono all'ambito della matematica e della logica, in cui è possibile certezza assoluta, in quanto il contrario di una verità astratta è logicamente impossibile.
Perciò, questi giudizi non contengono alcun enunciato sulla realtà dei loro oggetti.

Nel caso di proposizioni che concernono verità di fatto, l'opposto può essere falso, ma è sempre logicamente possibile.
Gli enunciati riguardanti verità di fatto si fondano sull'esperienza in base al principio di associazione di idee per mezzo del rapporto di causa ed effetto.

Se, per esempio, si osserva una palla da biliardo rotolare verso un'altra, l'effetto atteso verrà indotto dall'esperienza acquisita sino a quel momento.
Tuttavia, secondo Hume, la relazione di causa ed effetto non rappresenta alcuna connessione essenzialmente necessaria che inerisce agli oggetti, e, pertanto, non è neppure da riconoscere come puramente razionale, indipendentemente dall'esperienza.

Siamo portati a considerare A e B connessi causalmente se il loro succedersi è stato osservato più volte, cosicché all'idea di A segue in forma associativa, in base alla nostra abitudine, l'idea di B.
In tal modo è però possibile formulare un enunciato sull'abituale successione delle idee, non sull'essenza delle cose.
All'uomo non è dato di conseguire la conoscenza delle vere origini e cause degli eventi reali.

Compito della filosofia morale è, secondo Hume, chiarire le valutazioni morali effettivamente esistenti sulla base di metodi empirici e senza premesse speculative.
Se ragione e sensazione rivestono importanza, in questo ambito è fondamentale il senso morale (moral sentiment).
    «Poiché, quindi, la virtù risulta essere un fine
    ultimo ... e si aspira unicamente al soddisfacimento
    immediato da essa concesso, deve
    necessariamente esistere una sensazione con
    cui essa viene a contatto, una inclinazione interiore,
    un sentimento dell'animo ... che distingue
    moralmente fra il Bene e il Male.»
Le azioni vengono valutate positivamente nel caso in cui si rivelino utili o gradevoli per l'individuo stesso o per altri o per l'intera comunità.
I sentimenti soggettivi si fondano sui due principi dell'amor di sé e della simpatia.
Il singolo non persegue unicamente i propri interessi, bensì ha la capacità, quale essere sociale, di partecipare ai sentimenti e agli interessi degli altri, in quanto si trova inserito all'interno della compagine sociale.
A fondamento della morale si colloca, pertanto, la simpatia, attraverso la quale i sentimenti di una persona vengono trasmessi a un'altra.
Hume-Smith empirismo

Empirismo VI
In tal modo, viene concepita e fondata la necessaria intersoggettività dei valori morali.
Si forma un giudizio morale quando l'approvazione di un'azione o la sua disapprovazione può rivendicare diritto di validità generale.
Questo si consegue tramite l'astrazione delle circostanze particolari e la correzione della sua parzialità legata a interessi particolari.
In tal modo, all'interno di una società si sviluppa un criterio di valutazione sovraordinato di validità generale.

Nella sua filosofia dello stato, Hume respinge le teorie razionalistiche del diritto di natura e del contratto sociale.
Si giunge a costituire un ordinamento giuridico perché sussiste scarsità di beni necessari all'uomo ed è proprio della natura umana tendere a conservare quanto è stato acquisito.
Pertanto, risulta necessario un ordinamento che garantisca la pace e la sicurezza.
Il singolo si sottomette poiché, seppure a livello particolare egli ne sia svantaggiato, a livello generale ne trae un'assai maggiore utilità.
Imprescindibili, ai fini del mantenimento dell'ordine statale, sono le virtù della giustizia e della fedeltà (al contratto).
Anche in quest'ambito la simpatia riveste un'importanza significativa, in base alla quale l'individuo è orientato al benessere dello stato nella sua totalità.

Tramite la sua filosofia della religione, Hume analizza il costituirsi delle diverse rappresentazioni di Dio nella storia e ne indaga la validità.
Secondo Hume, la religione non è un fenomeno di origine trascendente, bensì un prodotto dell'intelletto umano.
All'origine della religione stanno stati psichici, in particolare la paura e la speranza, che scaturiscono dalla coscienza della fragilità e dell'incertezza dell' esistenza.
In origine, tutte le religioni sono politeistiche.
L'uomo ha la tendenza ad attribuire qualità che gli sono familiari alle cose e ad altri esseri viventi.
Corrispondentemente, egli vede nella natura forze agenti che gli sono simili e cogliendone la superiorità le divinizza.

Il passaggio al monoteismo avviene, innanzitutto, per il bisogno di rivalutare una divinità locale, dalla quale ci si considera particolarmente dipendenti, rispetto ad altre, per porsi sotto la sua particolare protezione.
Dal monoteismo deriva sempre un aumento dell'intolleranza.
Nel corso del tempo, il concetto della divinità diviene sempre più astratto e razionale, sfuggendo, in tal modo, alla capacità di comprensione e provocando il risorgere della superstizione.
Nei Dialoghi sulla religione naturale, Hume sottopone i tradizionali argomenti sull'esistenza di Dio a una critica rigorosa, che rappresenta, al tempo stesso, un'analisi fondamentale della concezione del suo mondo.

ADAM SMITH (1723-1790) sottolinea, come Hume, la dipendenza delle valutazioni di ordine morale dal sentimento: tramite la simpatia ognuno partecipa a ciò che prova l'altro, immedesimandosi nelle sue azioni.
Azioni e comportamenti vengono approvati moralmente entrando in simpatia con i sentimenti di chi agisce, ovvero considerando tali sentimenti adeguati all'oggetto, sulla base del fatto che nella stessa situazione si proverebbero sensazioni identiche e simpatizzando con i sentimenti (p. es. la riconoscenza) di coloro i quali sono colpiti dalle conseguenze dell'azione.
Si valutano le proprie azioni domandandosi se un osservatore imparziale approverebbe le intenzioni che le sostengono.
Tramite un processo di astrazione e generalizzazione è possibile pervenire, dall'approvazione o dalla condanna individuale, a una norma superiore utile alla formulazione di giudizi morali universalmente validi.
Smith deve la sua fama in particolare all'opera Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, che divenne un testo classico nell' ambito dell'economia politica.
Egli parte dal presupposto che gli interessi dei singoli individui volti al miglioramento della propria condizione possano condurre, liberi di agire e tramite un principio teleologico agente in natura, alla realizzazione del benessere generale.
Pertanto, Smith si dichiara contrario all'adozione di disposizioni autoritarie:
    «Nonostante ognuno ritenga di perseguire
    esclusivamente i propri interessi, in realtà anche
    il benessere dell'economia politica trae
    da un tale comportamento la sua miglior forma
    di sviluppo. In tali circostanze, il singolo
    viene guidato da una mano invisibile al perseguimento
    di un fine che non si era affatto
    prefisso.»
Il benessere si fonda sul lavoro, dal quale si ricava anche il valore di una merce.
Alla base della produttività stanno l'impulso allo scambio e la divisione del lavoro.

Alla filosofia morale dell'illuminismo inglese contribuirono in modo significativo
A. SHAFTSBURY e F. HUTCHESON,
ai quali si deve l'elaborazione del concetto di moral sense, un sentimento di immediata approvazione o condanna nei confronti del Bene o del Male.