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"RAZIONALISMO"
filosofica di Titolo
Razionalismo I
In CARTESIO (René Descartes; 1596-1650), lo scetticismo nei confronti della tradizione e l'esaltazione della ragione si congiungono a formare un'opera prettamente illuministica.
Il matematico Cartesio riprende gli esiti delle scienze esatte e i procedimenti della matematica.
Ulteriori elementi illuministici che caratterizzano il suo pensiero filosofico sono il forte rilievo dato al soggetto e la volontà di ricercare la maggior certezza possibile; recuperando scetticamente il soggetto conoscente, Cartesio costruisce uno dei tratti fondamentali della filosofia dell'Età moderna.

Caratteristiche principali del suo metodo vengono esposte nel Discorso sul metodo, in cui Cartesio sostiene che:
- è da considerarsi come valido solo ciò che, abolita ogni forma di pregiudizio, si può conoscere in modo chiaro e distinto («clare et distincte percipere»);
- un problema deve essere impostato scomponendolo fino negli ultimi elementi che lo costituiscono;
- è necessario procedere «per così dire per gradi» dall'oggetto più semplice al più complesso;
- bisogna garantire, tramite enumerazioni, la correttezza del procedimento.

Questo metodo, tratto dalla matematica, deve essere utilizzato nell'indagine di un qualsiasi uggetto.
Lo scopo è di giungere alle "nature semplici" (metodo analitico): esse devono potersi esaminare in modo immediatamente evidente (intuizione).
Da questo tipo di conoscenza (certe et evidenter cognoscere) devono essere dedotte, ovvero derivate proposizioni fondate.

Il punto partenza della filosofia cartesiana è il dubbio: Cartesio va alla ricerca, conformemente al suo metodo, di un riferimento iniziale, che non sia possibile mettere in dubbio.
Prendendo le mosse da esso, egli intende quindi, attraverso deduzioni necessarie, pervenire a verità più complesse.
Nella prima delle (sei) Meditationes de prima philosophia, Cartesio opera un «rivolgimento» di tutte le sue idee: scalzando tutti i fondamenti del suo pensiero egli arriva a mettere in dubbio non solo l'attendibilità della percezione sensoriale, ma anche la capacità mnemonica e, infine le cose più evidenti: «Non sarebbe addirittura possibile che io mi sbagli ogni qual volta addizioni il due e il tre?»
Anche Dio o uno spirito maligno e scaltro, il genius malignus, potrebbero, in fondo, voler trarre in inganno l'uomo.
Cartesio, si imbatte, infine, tramite il dubbio, nell'elemento più evidente e indubitabile, la coscienza di sé.

Persino nel dubbio l'io pensante deve essere presupposto:
    «Immediatamente osservai che, mentre volevo
    pensare che tutto fosse falso, tuttavia io,
    che pensavo questo, dovevo essere necessariamente
    qualcosa, e poiché mi resi conto che
    questa verità 'penso, dunque sono' era talmente
    salda e sicura che neppure gli... scettici
    sarebbero stati in grado di scuoterla, potei, a
    mio giudizio, assumerla come il primo principio
    della filosofia che stavo cercando.»
La coscienza del soggetto è quindi il fondamento sul quale Cartesio si propone di costruire ogni ulteriore forma di ragionamento.

Ma questo io sarebbe prigioniero nella certezza di sé, se non ripristinasse il rapporto con il mondo esterno distrutto dal dubbio.
Cartesio lo realizza attraverso giudizi rigorosi pervenendo
alla prova dell'esistenza di Dio.
Prendendo le mosse dalle idee della sua coscienza, egli utilizza l'argomento ontologico di Anselmo d'Aosta.
Le idee possono derivare dalla coscienza stessa o dal mondo esterno, o essere poste all'interno della coscienza da un'istanza superiore: per quel che riguarda l'idea di Dio, il mondo esterno non è da prendersi in considerazione, poiché esso non può fornire una chiara rappresentazione.

Neppure con la volontà la coscienza può avere alcuna idea di Dio:
    «Ho un' idea di sostanza perché io stesso sono
    sostanza; essa non può, peraltro, essere la
    idea della sostanza infinita, perché io stesso
    sono finito. Una tale idea può provenire solo
    da una sostanza realmente infinita.»
Questo concetto viene sostenuto dall'argomento secondo il quale la causa di un'idea deve sempre avere almeno tanta perfezione quanta è quella che l'idea rappresenta. Perciò l'idea di Dio è un'idea innata.

La teoria delle idee innate avalla, da un lato, l'interpretazione psicogenetica che esse siano poste nell'anima da Dio;
dall'altro, le qualifica come le rappresentazioni più sicure, perché esistono nella coscenza, indipendentemente dal mondo esterno.
Pertanto, esse sono assolutamente chiare e, secondo Cartesio,
assolutamente certe.
Inoltre, l'idea di Dio non comprene solo le qualità dell'assolutamente sostanziale e dell'attualmente infinito
all'ens perfectissimum appartiene anche la veridicità:
menzogne e inganni derivano da mancanza.
Perciò, anche l'ipotesi del genius malignus cade:
Dio, inteso come principio e garanzia di verità,
fonda il mondo e la conoscenza umana.
L'evidenza razionale, come una luce naturale, riceve la sua giustificazione ultima.
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Razionalismo II
L'io che rimane dal vaglio del dubbio è res cogitans, sostanza pensante.
In esso coincidono «spirito o anima o ragione o intelletto».
La res cogitans è una sostanza che:
«mette in dubbio, prende in esame, afferma, nega, vuole, non vuole, che, anche in modo figurato, rappresenta e percepisce».
Il suo opposto è la res extensa, il mondo materiale esterno determinato da estensione (extensa) e movimento, quindi da forma, grandezza, numero,luogo e tempo, che sono le quaità primarie dei corpi.
Esse sono, inoltre, razionali, perché conoscibili in termini quantitativi e matematici.
A questo corrisponde la divisione operata da Democrito fra qualità Primarie e secondarie.
Le secondarie sono qualitative, come il colore, l'odore, il sapore.
La loro conoscenza è sensibile, affidata all'immaginazione, mentre è vera conoscenza razionale (intellectio) quella di tipo matematico-quantitativo.

La percezione sensoriale ci fornisce solo impressioni soggettive e oscure del mondo esterno; non trasmette nessuna immagine reale della natura.
L'intelletto può elaborare enunciati veri riguardanti esclusivamente le qualità primarie delle cose.
A proposito delle percezioni meramente soggettive, come per esempio il colore,
Cartesio sostiene
    «... che noi percepiamo negli oggetti qualcosa
    che non conosciamo, che, peraltro, provoca
    in noi una determinata sensazione, che
    viene chiamata la sensazione del colore».
Al ruolo decisivo che Cartesio attribuì alla ragione si deve la denominazione di razionalismo, assegnata alla sua filosofia e a quelle che da essa si svilupparono.
Dalla convinzione cartesiana che solo ciò che è chiaro ed evidente possa essere vero, consegue che vero può essere solo quanto viene compreso, a livello logico e razionale.
Di conseguenza, l'attività razionale è l'unica garante della verità.
La teoria delle due sostanze, la res cogitans e la res extensa contiene un netto dualismo: escludendo l'essere di Dio non creato e perfetto,
nel mondo esistono i due regni completamente distinti:
dei corpi estesi e del puro pensiero.

Al dualismo fra mondo intellettuale e materiale corrisponde il meccanismo del mondo fisico, sostenuto dal fiorire della scienza: i corpi soggiaciono all'azione di leggi naturali.
Peraltro, il pensiero è libero.
La forma più bassa di questa libertà è il giudizio arbitrario che deriva dall'indifferenza: la volontà illimitata prevarica le rappresentazioni della ragione.
Se ciò avviene nei confronti di cose che la ragione non ha ancora interamente colto, si produrrà l'errore, che si previene solo astenendosi dal giudizio in caso di conoscenza insufficiente.
A un livello decisamente più alto Cartesio colloca la libertà, che deriva dall'adesione a un giudizio evidente:
    «Se io vedessi sempre in modo chiaro quel
    che è vero e buono, non avrei mai dubbi riguardo
    al giudizio da emettere o alla scelta
    da compiere: in tal caso sarei sì completamente
    libero, ma mai indifferente.»

L'antropologia cartesiana è influenzata dal dualismo di sostanza materiale e sostanza pensante: l'essere umano partecipa di entrambi i mondi.
Cartesio intende tutelare l'armonia di entrambi nell'uomo tramite la dottrina degli spiriti vitali; essi garantiscono il passaggio dal corpo all'anima e viceversa.
Nella ghiandola pineale, situata nel cervello, gli spiriti vitali trasportano gli impulsi delle vie nervose nell'anima.
Cartesio postula, inoltre, uno stretto parallelismo delle due sostanze che nell'uomo sono Unite: a un determinato stato fisico ne deve corrispondere uno psichico.
Con alta probabilità, le affezioni dell'anima indicano ciò che è più utile per il corpo.
Quando si prova la sensazione della sete, per esempio, con grande probabilità è bene bere.
E la garanzia risiede nella prescienza e nella potenza di Dio.

Dal problema del rapporto fra l'anima e il corpo trattato da Cartesio prende le mosse la scuola filosofica degli occasionalisti.
I suoi esponenti, in particolar modo ARNOLD GEULINCX (1624-1669) e NICOLAS DE MALEBRANCHE (1638-4715), sostengono che la connessione fra le due sostanze distinte di anima e corpo può avvenire solo tramite il diretto intervento divino: Dio dispone in modo che, quando si presenta l'occasione adatta, il corporeo e lo spirituale possano muoversi parallelamente sulla base di uno schema secondo il quale accade, pressappoco, che l'intelletto viene informato di un accadimento materiale nello stesso momento in cui esso si presenta.

Anche la teoria elaborata da JULIEN OFFROY DE LA METTRIE (1709-1751) riprende il pensiero di Cartesio: quest'ultimo considerava gli animali come macchine complesse, da cui l'uomo si differenzierebbe solo per l'intelletto.
La Mettrie esclude questa differenza, considerando l'uomo interamente una macchina.
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Razionalismo III
BARUCH (BENEDETTO) SPINOZA (1632-1677) viene considerato un pensatore religioso, puro e profondo, e, al tempo stesso, un panteista empio e oscuro.
L'espressione "dottrina" è particolarmente adeguata alla sua Il opera.
Tractatus de intellectus emaendatione (1677), considerato una sorta di propedeutica all'Ethica, ne costituì l'elaborazione sistematica L'opera principale, l'Ethica more geometrico demonstrata (1677), è costruita secondo il metodo matematico come la sua prima opera, Principia philosophiae cartesianae (1663).
Ogni parte consta di definizioni, assiomi, tesi con dimostrazioni, corollari e note.
Il metodo matematico, diversamente dalle summae medievali o dal Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, applicato anche in ambito filosofico, dimostra che da principi primi sono deducibili tutte le successive proposizioni.
Ma questa impostazione richiede un criterio di verità superiore a quello usuale: essa trascura il problema del fine, poiché nulla è più deviante del pensiero secondo il quale tutto, in natura, debba essere considerato un mezzo per il conseguimento di quanto è utile all'uomo.

L'Ethica è divisa in cinque parti:
"Dio", "Natura e origine della mente", "Le passioni", "La schiavitù umana" e "Il potere della ragione o la libertà umana".

Si muove da Dio perché se l'idea di Dio è errata anche l'immagine dell'uomo lo diventa.
"Dio" è definito sostanza,
    «ciò, il cui concetto non ha bisogno del concetto
    di un'altra cosa dal quale debba essere formato».
La sostanza è costituita da attributi, qualità che l'intelletto percepisce come essenziali.
Le determinazioni della sostanza vengono chiamate da Spinoza modi.
Finito è ciò che viene limitato da qualcos'altro di uguale natura.
    «Per esempio, un corpo si dice finito perché è
    possibile pensarne sempre uno più grande...
    Peraltro, nessun corpo può essere limitato da
    un pensiero.»
Dio, al contrario, è assolutamente infinito, non racchiude in sé alcun tipo di negazione e consiste di un numero infinito di attributi.
Da questo Spinoza deduce che Dio esiste necessariamente, è l'unica sostanza, ed è indivisibile.
Le cose estese e pensate sono, quindi, attributi divini o affezioni degli attributi divini.

Spinoza determina, in rapporto alla sostanza infinita, i modi finiti (il mondo e l'uomo), la specificità dei quali può essere espressa anche attraverso i concetti di natura naturans e natura naturata, perché la natura che crea non è identica alla natura creata.
    «Tutto ciò che è, è in Dio e non può esserci
    né venir concepita sostanza alcuna all'infuori
    di Dio.»
Questa teoria è panteismo? Spinoza afferma:
    «Se ci sono persone che ritengono che Dio e     la natura (con la quale intendono una massa o     una materia corporea) siano un'unica, identica     cosa, costoro sono del tutto in errore.»
L'equazione "Dio o natura" (Deus sive natura) significa che Dio è la natura che crea (naturans) ed è sua opera (naturata) tutto quanto esiste, e come tale verrà conservato attraverso di lui.
Ogni vera conoscenza coglie perciò gli attributi o i modi di Dio, «e null'altro».

Dopo l'esposizione della causa prima e ultima della realtà,
segue la metafisica dell'uomo.
Fondamentale è la tesi spinoziana secondo la quale estensione e pensiero sono gli attributi che l'uomo può conoscere dell'unica sostanza.
Da ciò segue che: «L'ordine e la connessione delle idee è identico
all'ordine e alla connessione delle cose.»
I corpi sono modi dell'attributo dell'estensione, le idee dell'attributo del pensiero.
Il rapporto fra corpo e pensiero è risolto in forma di parallelismo, come due "aspetti" di un unico individuo.
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Razionalismo IV
Secondo la dottrina spinoziana della conoscenza, le idee dell'intelletto umano sono adeguate e vere se riferite a Dio.
Ogni vera idea è in Dio, Poiché le idee sono modi dell'attributo del pensiero.
Le idee vere sono chiare e distinte.
Esse includono la certezza della loro verità, poiché la verità è il loro proprio criterio: veritas norma sui et falsi est.
    «L'adeguatezza dell'idea contiene... il riferimento
    alla cosa realmente esistente... Solo
    ammettendo che il nostro pensare sia in sostanza
    il pensare di Dio, le nostre idee possono
    essere adeguate.» (W. Ròd)
Spinoza distingue tre tipi di conoscenza:
- la conoscenza sensibile, che procede dalle affezioni e può produrre concetti generici confusi e disordinati;
- la conoscenza razionale, in cui si opera deduttivamente attraverso nozioni comuni;
- la conoscenza intuitiva, che agisce "sub specie aeternìtatis", ovvero in relazione all'assoluto.
Solo il primo tipo di conoscenza può essere fonte di errore.

La terza parte dell'Ethica tratta delle passioni, che Spinoza rappresenta come una sorta di "meccanica": «come se si trattasse di linee, piani e corpi.
"Ordine geometrico demonstrata" significa in questo caso che le azioni umane sono collegate una all'altra ìn base a leggi necessarie.
Il primo e supremo principio al riguardo afferma:
    «Ogni cosa tende, per quanto le è propria,
    a perseverare nel proprio essere
    (conatus sese conservandi).»
Spinoza ammette tre passioni fondamentali:
il desiderio che è l'istinto di (autoconservazione) insieme alla coscienza di se stesso, la gioia e la tristezza.
Da esse derivano tutte le altre; per esempio:
«Amore e gioia, accompagnata dall'idea di una causa esterna.»

Dalla Conoscenza della vera natura deriva la possibilità di condurre un'esistenza armoniosa e completa.
La vera libertà consiste nella conoscenza di quanto è assolutamente necessario.
Nella misura in cui la ragione conosce adeguatamente, essa si libera dalle passioni che cotuiscono l'ostacolo alla sua perfezione.
L'uomo riconosce tutto come necessariamente fondato in Dio e consegue la libertà se partecipa al divenire del mondo da Dio determinato.
L'azione suprema consiste, dunque, nella giusta conoscenza, la cui forma più alta è la conoscenza di Dio.
La vera religiosità è l'amore razionale di Dio (amor Dei intellectualis).

Il Tractatus theologico-politicus (1670) si colloca fra gli scritti d'occasione di Spinoza.
Di esso fa parte un precedente scritto apologetico, concepito in risposta alle accuse di ateismo.
Lo scopo fondamentale del Tractatus è di separare la filosofia dalla teologia.
Spinoza compie questa scissione in modo sistematico utilizzando una serie di regole per l'intrerpretazione del testo biblico e fondando, in tal modo la moderna critica biblica a impostazione storico-filologica.
Egli non realizza un'esagesi teologica, quanto, piuttosto, una critica filosofica alla materia concreta di un testo fondamentale per la storia dell'umanità.

L'introduzione, nella quale lo stato è fondato sul diritto naturale, rivela il suo intento di difendere «la libertà di filosofare e di esprimere ciò che si pensa».
A tal fine è necessario delimitare l'ambito della teologia e, al tempo stesso, esortare il potere statale ad assicurare la pace interna, perché sia garantita la completa libertà di pensiero.
    «Gli uomini sono, di regola, tali per cui non
    esiste nulla a loro più insopportabile del fatto
    che opinioni, che essi ritengono vere, vengano
    considerate crimini e che ciò che lì muove
    a religiosità nel loro comportamento verso
    Dio e il prossimo venga loro attribuito come
    delitto. In tal caso, esecrano le leggi e si permettono
    qualsiasi cosa contro le autorità e non considerano
    in nessun caso ignominioso, bensì, al contrario,
    altamente onorevole, istigare alla rivolta per
    quella causa e compiere ogni sorta di misfatti.»

Il pensiero di Spinoza risulta particolarmente incisivo per la sua stupefacente armonia con la vita stessa del filosofo: nella sua persona, l'assoluta onestà nella condotta è in diretto rapporto con la purezza delle idee che animano la sua dottrina.
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Razionalismo V
GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ (1646-1716) può essere considerato uno studioso di respiro universale; egli fu diplomatico, giurista, storico, matematico, fisico e filosofo.
Federico II lo defini "un'accademia vivente".

Tramite l'elaborazione del concetto di calcolo differenziale Leibniz divenne l'iniziatore della Moderna logica: idee il più possibile semplici e generali devono potersi esprimere in simboli universali traducibili in termini razionali.
Ulteriori regole collegano necessariamente i termini secondo il modello del calcolo matematico, con il fine di risolvere qualunque errore nell'ambito degli "errori di calcolo" e di fare chiarezza su questioni controverse.

Nucleo della filosofia leibniziana è l'aver risolto i problemi di carattere metafisico tramite il concetto della monade.
La sostanza non può essere estesa (contrariamente alla rex extensa cartesiana), perché, in tal caso, sarebbe divisibile.
Pertanto, criterio della sostanza è la sua forza.
Questi "punti di forza" vengono chiamati da Leibniz monadi.
    «Le monadi sono, allora i reali atomi della natura e,
    in una parola gli elementi delle cose.»
Come sostanze elementari presentano le seguenti caratteristiche:
- non hanno forma alcuna, poiché essa implicherebbe divisibilità;
- non Possono, in quanto sostanze, essere né prodotte né distrutte;
- sono individuali: nessuna monade è identica a un'altra;
- quale essere fondato su se stesso, ogni monade è priva di finestra:
nessuna sostanza o determinazione può agire scaturendo da essa o penetrandola.
Tuttavia, esse mutano al loro interno incessante:
un impulso interiore verso la perfezione: la cosiddetta appetizione, provoca il continuo passaggio da uno stato all'altro, i quali prendono il nome di percezioni.

Queste "informazioni" e i loro "programmi" stabiliscono il rapporto della singola monade con tutte le altre monadi dell'universo, come un punto in cui si incontra un numero infinito di angoli.
Poiché una monade è priva di finestre e tuttavia sta relazione con tutte le altre monadi bisogna supporre
    «che ogni monade è uno specchio vivente, capace di attività interiore,
    che rappresenta l'universo dal suo punto di vista.»
Da ciò deriva che ogni monade conosce lo stato delle altre ma non ne è cosciente.
Leibniz distingue fra diversi gradi di percezione:
- la semplice "monade nuda", contiene tutte le informazioni sullo stato delle altre, ma non ne è cosciente;
- da essa si distingue l'appercezione, quando la percezione è accompgnata dalla coscienza di questo stato.
Conformemente a ciò si delinea un continuum, che dalla materia, passando attraverso l'anima animale, si estende sino all'intelletto riflessivo dell'uomo.
Leibniz parla, pertanto, della limitata capacità degli animali allo stesso modo in cui, anche per l'uomo, suppone un inconscio, riconducibile alle "piccole percezioni".
L'azione concertata di tutte le monadi viene spiegata con la teoria dell'armonia prestabilita.
Le monadi si uniscono in "aggregati" sul modello dell'organismo: una monade centrale si circonda di un numero infinito di altre nei confronti delle quali agisce come entelechia.
Ogni monade sta in rapporto con le altre.
Poiché le monadi non hanno finestra, il mondo deve essere stato disposto da Dio in modo tale che gli stati prospettici di tutte le monadi corrispondano.
L'immagine leibniziana più famosa è quella degli orologi, dove egli applica l'armonia prestabilita al rapporto fra anima e corpo: per sincronizzare due orologi li si potrebbe collegare successivamente, oppure regolarli di continuo o, ancora, affidarli a una legge che li abbia regolati preventivamente e perfettamente.
Leibniz considera solo l'ultimo caso.
Il concetto di armonia prestabilita risolve il problema del rapporto corpo-anima, motivo di discussione da Cartesio in poi; esso costituisce, in definitiva, il nucleo stesso del sistema leibniziano.
Dio ha creato da principio tutte le monadi in modo che esse stiano in armonia fra loro.

Rispetto alla conoscenza, il sistema di Leibniz esclude che l'unica fonte sia l'esperienza.
Alla teoria empiristica, secondo la quale nulla è nell'itelletto se non è stato prima nei sensi, Leibniz aggiunge: escluso lintelletto stesso, ovvero le idee innate e le strutture conoscitive.
Il puro accostamento dei dati empirici produce solo risultati probabili, mentre attraverso dati fondati sulla conoscenza razionale si possono trarre conclusioni chiare e corrette.
Leibniz distingue fra verità di ragione, che sono necessarie e il cui contrario non sarebbe possibile (principio di non contraddizione), e verità di fatto, che sono solo casuali e il cui opposto è possibile.
In analogia con le verità di ragione e le verità di fatto, Leibniz considera due mondi: quello delle cause finali (delle anime) e quello delle cause meccaniche (dei corpi), che stanno tra loro in un rapporto di armonia.
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Razionalismo VI
Allo stesso modo, il regno della natura armonizza con quello della grazia, ovvero della comunità di esseri spirituali e morali sotto il governo divino.
Dio agisce ovunque, quale creatore dell'armonia prestabilita; tuttavia, gli spiriti si relazionano strettamente a lui, tramite una cosciente partecipazione alla grandezza e alla bontà divina: essi possono conoscere il sistema dell'universo e perfino parzialmente imitarlo.
L'esistenza di Dio si rivela, inoltre, come conseguenza del principio di ragion sufficiente, che Leibniz definisce fondamento di ogni conoscenza razionale accanto a quello di non contraddizione.
Il principio di ragion sufficiente afferma:
    «Che niente può essere giusto ed esistere,
    nessuna proposizione può essere vera, senza
    che ci sia una ragione sufficiente perché sia
    così e non altrimenti, quantunque, nella maggior
    parte dei casi, queste ragioni non ci siano
    conosciute».

L'ultima ragione sufficiente è necessariamente Dio.
Da ciò Leibniz deduce ulteriormente che ci può essere una sola sostanza divina e che questa è anche perfetta.
Esiste una serie infinita di mondi possibili, che, a seconda del grado di compiutezza, potrebbero pervenire all'esistenza, tuttavia Dio scegliendo sulla base del princio del migliore, ha creato l'unico esistente, e, pertanto, anche il migliore dei mondi possibili.
Rispetto a tutti gli altri mondi, esso è caratterizzato dal grado più alto di adeguatezza:
    «in tal modo si ottiene la maggiore molteplicità
    possibile, che, intanto, va di pari passo
    con l'unico massimo sistema possibile, ovvero
    si ottiene tanta perfezione quanto è possibile.»

Il problema dell'esistenza del Male nel migliore dei mondi costituisce il nucleo dei Saggi di teodicea (1710), che contengono la giustificazione di Dio rispetto al male.
Leibniz distingue tre tipi di male:
- il male metafisico, che deriva dalla condizione delle creature; tutto ciò che è stato creato è imperfetto, perché in caso contrario, sarebbe divino come il suo creatore;
- il male fisico (il dolore, la sofferenza), che trae giustificazione dalla sua funzione; può essere utile, (p. es. ai fini della conservazione dell'individuo) o servire come punizione con fini correttivi.
- il male morale, il peccato, è la conseguenza della libertà dell'uomo e il fondamento della redenzione cristiana.
Dio non ha voluto questi mali;
li ha piuttosto consentiti, facendo prevalere su di essi il Bene.

A CHRISTIAN WOLFF (1679-1754) va il merito di aver contribuito a modellare, attraverso i suoi scritti, redatti in lingua tedesca (Pensieri razionali), il linguaggio filosofico tedesco.
Egli rielabora e sviluppa i pensieri di Leibniz.
Tramite gli allievi di Wolff, essa divenne per antonomasia la dottrina dell'Illuminismo tedesco.

Wolff definisce la filosofia come «scienza di tutte le cose, del modo e della ragione delle loro possibilità».
Essa si presenta come sistema, e ha a fondamento l'ontologia.
Dei principi a essa propri, che sono come per Leibniz quello di ragion sufficiente e quello di non contraddizione, Wolff riconduce il primo al secondo.
Compito dell'ontologia, in qualità di "prima scienza teorica razionale", è chiarire la ragione, scevra di contraddizioni, della possibilità delle cose e la loro disposizione.

La metafisica indaga su «Dio, l'anima e il mondo», dividendosi in teologia, psicologia e cosmologia.
In ambito etico, Wolff trae dalla perfezione della natura la seguente massima:
    «Fa' quello che contribuisce alla perfezione tua,
    della tua condizione, e del tuo prossimo,
    e non fare il contrario.»
Fine supremo della politica, è, secondo Wolff, il benessere generale.

SAMUEL REIMARUS (1694-1768) relativizzò la religione rivelata a favore di una religione razionale deistica.
Secondo Reimarus, l'unico miracolo divino è la creazione; i miracoli biblici sono da ricondurre alle invenzioni degli apostoli.
La religione naturale garantisce la felicità.
Nell'ambito di una filosofia della storia,

GOTTHOLD EPHRAIM LESSING (1729-81) scorge un'analogia fra educazione e rivelazione:
    «Ciò che è l'educazione per ogni singolo
    individuo, per il genere umano è la rivelazione.»
La rivelazione era, in origine, il fondamentale libro di Dio per gli uomini, che ora viene interpretato dalla ragione.
La sua critica nei confronti del dogmatismo religioso è collegata alla teoria della religione naturale e della tolleranza religiosa.

MOSES MENDELSSOHN (1729-1786) si impegnò per l'emancipazione dell'ebraismo, invitando, nello scritto Gerusalemme, alla tolleranza, essendo esso una religione di valore pari a quello del cristianesimo.