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"KANT"
Kant I
IMMANUEL KANT (1724-1804) nacque e morì a Ktinigsberg.
La sua Critica della ragion pura è considerata un'opera basilare dell'età moderna; essa apparve in due diverse edizioni,
rispettivamente nel 1781 e nel 1787.
Nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica (1783), Kant espose in modo semplificato la sua dottrina.
L'opera contiene un'indagine critica della capacità conoscitiva dell'uomo.
La questione fondamentale è:
    «Esistono giudizi sintetici a priori?».
In tal modo, Kant ricerca il fondamento di quei giudizi che non derivano dall'esperienza (a posteriori).
Questi giudizi non devono essere analitici.
Un giudizio analitico non estende il soggetto ma si limita a scomporlo:
    «Un cerchio è tondo»
è un giudizio analitico, poiché l'"essere tondo" è una proprietà già inclusa nel cerchio.
Al contrario,
    «7 + 5 = 12»
è un giudizio sintetico a priori: "12", infatti, non è contenuto nei termini '7'e'5'.
Giudizi sintetici a priori sono contenuti come principi in tutte le scienze astratte.
Se essi costituissero il fondamento della metafisica, si determinerebbe la possibilità della metafisica come scienza.
Intento di Kant è conciliare la ricettività della sensibilità (che si limita a percepire) con la spontaneità dell'intelletto.
L'esperienza sensibile è, secondo il razionalismo, solo pensiero confuso.
L'empirismo, al contrario, fa derivare ogni cosa dall'esperienza, svalutando la spontanea facoltà dell' intelletto.
Kant risolve il problema tramite una "rivoluzione copernicana": non è la conoscenza a conformarsi agli oggetti, bensì gli oggetti ad adeguarsi alla conoscenza.
    «Ogni forma di conoscenza umana procede
    quindi dalla sensibilità attraverso i concetti
    per esaurirsi nelle idee.»

La Critica della ragion pura è organizzata nel seguente modo:
la prima parte dell'opera, l'Estetica trascendentale, indaga l'a priori della sensibilità e dimostra che spazio e tempo sono le condizioni della sensibilità.
Lo spazio deve costituire il fondamento di ogni forma di sensibilità: non è possibile rappresentarsi una qualsiasi cosa senza estensione spaziale o considerare lo spazio stesso come divisibile o non esistente.
Esso costituisce quindi la condizione a priori della nostra percezione.
Su ciò si fonda la possibilità della geometria pura.
Anche il tempo non può essere scisso dalla sensibilità.
Senza di esso non sono concepibili durata e successione.
Il tempo costituisce la forma del senso interno: in esso sono ordinate le nostre rappresentazioni.
Spazio e tempo sono dotati di:
- realtà empirica: «validità oggettiva in considerazione di tutte le cose che possono essere date ai nostri sensi»;
- idealità trascendentale: essi esistono non come determinazioni delle cose in sé ma come condizioni della nostra intuizione sensibile; da qui la tesi dell'idealismo trascendentale
    «secondo il quale tutto quanto viene esperito
    nello spazio e nel tempo... non è altro che fenomeno,
    ovvero semplice rappresentazione».

Nell'Analitica dei concetti, Kant analizza gli elementi dell'intelletto che sono dati a priori e che egli definisce categorie, deducibili in due modi.
    La prima deduzione si ricava dai tipi di giudizio della logica tradizionale, poiché l'attività dell'intelletto consiste sempre nel giudicare.
    La seconda, definita deduzione trascendentale, si fonda sull'«unità sintetica del molteplice nell'appercezione».
Ogni tipo di esperienza soggiace a un ordine unico.
Condizione di tale ordine è la categoria che sintetizza il molteplice di rappresentazioni date in un'appercezione.

Fondamento di questa funzione sintetizzatrice è sempre l'"io penso"; esso sta all'origine dei concetti a priori che hanno funzione di sintesi.
Queste forme concettuali rimangono, però, "vuote", fino a quando manca loro il contenuto attraverso l'esperienza.
La conoscenza è la loro applicazione all'esperienza.
Le categorie sono, quindi, necessarie per ordinare le esperienze nell'unità del soggetto.
Oggetto dell'esperienza può essere solo quanto viene sintetizzato all'interno di quest'ordine.
La somma di tutti questi oggetti viene definita da Kant natura: il legislatore è l'intelletto, insieme all'unità delle categorie che gli sono proprie.

Nell'Analitica dei principi (dottrina del giudizio), Kant analizza gli elementi che collegano i concetti alle intuizioni.
Il molteplice dell'intuizione deve poter essere raggruppato sotto concetti generali.
La capacità di operare questa sintesi viene definita da Kant giudizio.
Questo avviene, innanzitutto, tramite lo schematismo:
Kant attribuisce a ognuna delle (di fatto vuote) categorie uno schema, che si richiama alla sensibilità.
Anello di congiunzione fra le categorie e l'intuizione sensibile è il tempo.
Esso costituisce il senso interno ed esterno e sta pertanto alla base di ogni esperienza.
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Kant II
Gli schemi di cui si valgono le singole categorie sono i seguenti:
- della quantità è il numero, ovvero la sequenza temporale;
- della qualità, che consiste nel grado di realizzazione del tempo;
- della relazione, il cui riferimento oggettivo sussiste per mezzo della determinazione temporale (permanenza, successione, simultaneità);
- della modalità, che si ricava dalla determinazione temporale: se qualcosa avviene una volta, è possibile; se accade in un determinato momento è reale; se sussiste sempre, è necessaria.

A questo segue il sistema dei principi: essi stabiliscono le condizioni in base alle quali è possibile l'esperienza e sono, quindi, le leggi supreme della natura; contengono al loro interno le ragioni di tutti gli altri giudizi e sono, di conseguenza, la premessa dell'esperienza scientifica.
Questi principi sono:
- assioma della sensibilità, il cui principio è l'estensione: tutti gli oggetti della nostra esperienza devono essere quantità estensive nello spazio e nel tempo; costituiscono sempre aggregati, ovvero molteplicità di parti precedentemente date;
- anticipazioni della percezione: tutti gli oggetti di cui si può avere esperienza devono avere un livello di intensità, ovvero «un grado di influenza sui sensi»;
- analogie dell'esperienza: provano la relazione necessaria delle percezioni nell'esperienza.
Comprendono tre principi:
1) la permanenza della sostanza, che costituisce il substrato necessario all'esistenza del tempo e, di conseguenza, della successione e della simultaneità;
2) il cambiamento nel tempo è reso possibile attraverso la sostanza, ma solo tramite il principio di causalità i rapporti tra i fenomeni vengono esperiti come necessari;
3) se le cose sono simultanee, è valido per esse il principio di azione reciproca.
- postulati del pensiero empirico:
    «1. Ciò che si accorda con le condizioni formali
    dell'esperienza è possibile.
    2. Ciò che è in relazione con le condizioni materiali
    dell'esperienza (della sensazione) è reale.
    3. Ciò, la cui relazione con il reale è determinata
    secondo le condizioni universali dell'esperienza,
    è... necessario

Unitamente ai principi è stabilito l'ambito di una possibile esperienza oggettiva: in qualità di oggetti, o, in generale, come natura, ci può apparire solo ciò che è modellato secondo i principi a priori della sensibilità e del puro intelletto, poiché solo attraverso l'applicazione di essi ci può essere dato qualcosa nella sintetica unità del molteplice.
Il mondo di cui possiamo avere esperienza non è un mondo dell'"apparenza", bensì della manifestazione, che è necessaria in quanto ubbidisce alle leggi della nostra facoltà conoscitiva.

L'Analitica trascendentale si chiude conseguentemente con il confronto tra fenomeno e noumeno: Kant ha limitato l'ambito della (corretta) attività razionale al mondo delle manifestazioni (fenomeni), legandola agli oggetti per noi.
Gli oggetti in sé (noumeni) ci rimangono preclusi.
Il loro mondo è "problematico", ovvero possibile.
La sua funzione consiste nel limitare l'intuizione sensibile e l'uomo stesso, in quanto egli non può conoscere noumeni tramite le categorie.

Nella seconda parte della Logica, che prende il nome di Dialettica trascendentale, Kant indaga i problemi metafisici che concernono la ragione in senso ristretto.
Secondo Kant, la ragione è la sede dell'illusione: la ragione allontana dialetticamente sempre più dall'uso corretto delle categorie, che rappresenta il limite della conoscenza.
Questa illusione naturale e inevitabile sorge generalmente dall'attività della ragione, quando essa cerca la condizione per un condizionato tentando di trovarla in un incondizionato.
La via che viene percorsa è quella della deduzione.
In ultima istanza, la ragione opera sempre con idee, nell'ambito delle quali vengono raggruppati concetti e fenomeni.

La parte principale della Dialettica trascendentale ha l'unico intento di scoprire l'«illusione dialettica» delle «cavillose deduzioni».
Le idee trascendentali, per Kant, sono - riferendosi alla filosofia scolastica del tempo - l'idea dell'anima, l'idea del mondo e l'idea di Dio:
    «Conseguentemente tutte le idee trascendentali
    possono raggrupparsi in tre classi, di cui
    la prima contiene l'assoluta... totalità del soggetto
    pensante, la seconda l'assoluta totalità
    della serie delle condizioni del fenomeno, la
    terza l'assoluta totalità delle condizioni di tutti
    gli oggetti in generale.»
Kant si propone di dimostrare che tali idee considerate come oggetto inducono in una contraddizione.
Questa dimostrazione è contenuta nelle parti che trattano dei paralogismi (anima), dell'antinomia (mondo), dell'ideale (Dio) e della ragion pura.
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Kant III
I paralogismi (sillogismo falso) della psicologia razionale si basano sull'illecita connessione di soggetto e sostanza: secondo la psicologia tradizionale, l'Io, in quanto soggetto, è sostanza.
Kant, al contrario, distingue l'Io dell'appercezione (soggetto) dalla presunta sostanza dell'anima (oggetto):
    «L'unità del soggetto... è solo unità del pensiero,
    tramite la quale non può venire dato
    oggetto alcuno, per cui la categoria di sostanza,...
    che presuppone l'intuizione, non può
    essere usata, di conseguenza questo soggetto
    non può essere conosciuto.»
Perciò non è neppure possibile la conoscenza dell'anima come sostanza semplice, immortale e immateriale.

Le antinomie sono proposizioni contraddittorie.
Esse derivano dalle dimostrazioni solo apparentemente fondate che la ragione si può dare rispetto a due tesi opposte sul mondo.
Kant contrappone quattro tesi (con dimostrazione) a quattro antitesi (con dimostrazione):
1. Il mondo ha un inizio nel tempo e un limite nello spazio e non ne ha alcuno.
2. Ogni cosa, nel mondo, consiste di parti semplici e consiste del non semplice.
3. Esiste una causalità libera accanto alla causalità necessaria e tutto accade secondo leggi di natura.
4. Esiste un essere necessario come parte o causa del mondo e non esiste.

Kant trova una risoluzione alle tesi antinomiche nel paragonarle alla conoscenza che deriva dall'esperienza.
Per quel che riguarda la prima antinomia, per esempio, si ricava:
    «Se si pone che il mondo non abbia avuto inizio,
    questo risulta troppo grande al vostro
    intelletto, poiché esso... non potrà mai raggiungere
    tutta l'eternità passata... Ponete:
    il mondo ha avuto un inizio; in tal caso, invece,
    questo si rivelerà troppo piccolo per le capacità
    del vostro intelletto.»
Secondo l'idealismo trascendentale ci sono date solo le percezioni e il loro progresso empirico.
Questa posizione non prende in considerazione l'argomento di tutte le deduzioni razionali:
    «Se è dato il condizionato, è data anche l'intera
    serie delle condizioni: ma a noi sono dati oggetti
    sensibili come condizionati, ecc; dunque, ecc.»
La prima proposizione si riferisce a cose in sé, la seconda a cose empiriche: pertanto entrambe soggiaciono allo stesso ragionamento ingannevole, che confonde l'una con l'altra.
Le idee cosmologiche non devono essere usate in senso costitutivo ma regolativo.
Esse non creano nuovi concetti degli oggetti, bensì li ordinano in unità.
Questo uso razionale, che assume ipoteticamente l'universale,
    «è valido per l'unità sistematica delle conoscenze
    dell'intelletto, ma questa è la pietra di
    paragone della verità... [Questa è] come semplice
    idea l'unità solo progettata».
Successivamente, Kant tratta dell'ideale della ragion pura, ovvero di Dio.
Al centro dell'analisi stanno tre prove dell'esistenza di Dio:
- la ontologica che ha origine dall'idea di Dio;
- la cosmologica che deriva dalla necessità di un essere supremo a giustificazione dell'esistenza terrena;
- la fisico-teleologica ricavata dall'adeguatezza del mondo al suo creatore.
Le confutazioni kantiane si basano sulla dimostrazione secondo cui esse confondono tutti gli oggetti del noumeno e del fenomeno e non possono mai fondarsi sull'esperienza.
L'essere supremo è non dimostrabile e al tempo stesso inconfutabile.

La seconda e breve parte dell'opera contiene la dottrina trascendente del metodo,
    «la determinazione delle condizioni formali di
    un sistema completo della ragion pura».
La Disciplina indica, in qualità di "dottrina negativa di ammonimento", le possibilità di un uso scorretto della ragione.
Kant critica:
- il metodo matematico, che, in ambito filosofico, conduce al dogmatismo;
- l'uso polemico della ragione, che reagisce a tesi dogmatiche con antitesi; la ragione deve vagliare criticamente e in modo obiettivo;
- lo scetticismo, che, come metodo generale della filosofia è inadeguato;
- infine ipotesi e dimostrazioni in filosofia; le prime sono ammesse solo come "armi da guerra"; le dimostrazioni devono valere direttamente e con il ricorso all'esperienza possibile.

Il canone indica in positivo ciò che la ragione pura deve produrre.
Poiché essa a livello speculativo non può fondare certezze, il valore che assume consiste nel suo uso pratico, al cui fondamento sono necessari tre postulati: libertà della volontà, immortalità dell'anima, esistenza di Dio.
Intento della ragione non può essere, infine, la conoscenza speculativa.
Il suo scopo consiste nel sostenere la fede morale:
    «Dovrei, allora, eliminare il sapere per far posto alla fede».

L'Architettonica delinea il sistema della filosofia.
Il panorama storico La storia della ragion pura chiude la dottrina del metodo e con esso l'intera opera.
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Kant IV
Kant tratta la filosofia pratica soprattutto nella
Fondazione della metafisica dei costumi (1758)
e nella Critica della ragion pratica (1788).

L'"Analitica" della Critica della ragion pratica analizza il ruolo fondamentale della natura della volontà come criterio di valutazione di un'azione.
Conformemente a ciò, nulla può essere definito illimitatamente buono se non la buona volontà.
Il valore di un'azione non si misura in base allo scopo desiderato.
Il fine di un'azione sta nell'ambito della necessità naturale.
Le azioni soggiacciono a causalità empiriche e, secondo Kant, non possono essere considerate libere.
Da ciò consegue che solo la natura razionale della volontà può stabilire la qualità morale di un'azione.
Il dovere sostituisce la necessità naturale «con la necessità di un'azione per riguardo alla legge {morale}».

Il dovere ha bisogno del volere e dell'agire dell'uomo in osservanza delle leggi morali, che derivano dalla ragione.
È possibile che un'azione abbia la tendenza ad accordarsi con le prescrizioni del dovere: questo agire «in conformità al dovere» viene definito da Kant legalità, opposta alla moralità, che presuppone un agire «per» dovere.
Il dovere si presenta sotto forma di imperativi, che Kant distingue fra imperativi ipotetici e categorici.
I primi valgono solo a condizione che sia posto uno scopo da raggiungere ed esprimono solo un dovere condizionato.
L'imperativo categorico, al contrario, dà valore alla legge in modo formale e assoluto.
La sua formulazione più generale recita:
    «Agisci in modo che la massima delle tue azioni
    possa sempre valere in ogni tempo come
    principio di una legislazione universale.»
Le massime sono principi soggettivi.
In qualità di ragioni che determinano la volontà, ne stabiliscono il valore e con ciò il valore dell'azione.
Moralmente buone sono solamente quando soddisfano il criterio formale dell'imperativo categorico.
Devono essere tali da poter valere per tutti gli esseri razionali.
L'enunciato formale-a priori dell'imperativo categorico è, quindi, il sommo principio che la ragione sotto l'aspetto pratico può formulare a determinazione della volontà umana.

La formulazione di un principio di azione formale, universalmente razionale diviene il cardine della teoria della libertà di Kant.
Secondo la posizione della Critica della ragion pura la libertà poteva essere solo pensata.
L'imperativo categorico come principio razionale rende possibile un dovere libero da ogni determinazione materiale (p. es. educazione, sentimento morale, volontà divina, aspirazione alla felicità).
La ragione si sottomette nel dovere alla sua propria legge.
Essa è autonoma, ovvero autolegiferante.

L'uomo, quale essere sensibile, subisce l'eteronomia della legge di natura, ma la volontà è libera per mezzo della determinazione della ragione, tramite la quale l'uomo partecipa al mondo "intelligibile".
Di conseguenza, è dimostrato come la volontà sia anche positivamente libera.
La pura ragione (indipendentemente dall'empirico e dall'eteronomo) si mostra praticamente nella «autonomia nel principio della moralità, attraverso cui essa determina la volontà nell'azione».
La buona volontà si differenzia dalla "patologica" in quanto essa non è condizionata a livello sensibile.
Il suo movente sta, piuttosto, nel rispetto per la legge.
Questo rispetto, che limita l'egoismo come spinta all'azione, è il vero senso morale.
Poiché la buona volontà deve essere rispettata come autonoma anche in un altro individuo, un'ulteriore formulazione dell'imperativo categorico recita:
    «Agisci in modo da considerare l'umanità,
    nella tua come nell'altrui persona, sempre
    come fine, mai solo come mezzo.»

La "Dialettica" della Critica della ragion pratica definisce come oggetto della ragion pratica il Sommo Bene.
Il solo motivo determinante della volontà è l'osservanza della legge morale, non l'aspirazione alla felicità.
Per l'uomo come essere sensibile, tuttavia, la felicità deve essere considerata parte di un bene perfetto.
Poiché la virtù e la felicità sono di diversa natura, l'antinomia della ragion pratica si risolve solo attraverso il postulato dell'esistenza di Dio, che garantisce la precisa armonia di felicità e moralità e assicura la connessione di entrambe ai fini del Bene sommo e completo.
Inoltre, poiché gli esseri nel mondo sensibile non conseguono mai la "santità", il progressus infinito verso la perfezione richiede anche il postulato di un'anima immortale.

Con la Critica del giudizio, Kant conclude, nel 1790, tutto il "lavoro critico".
L'indagine sul giudizio ha il compito di conciliare natura e libertà.
Il giudizio viene presentato come una facoltà intermedia fra intelletto e ragione; a esso corrisponde il sentimento di piacere e di dispiacere che sta fra la facoltà conoscitiva e la facoltà del desiderio.
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Kant V
In generale, il giudizio è la facoltà di sussumere il particolare nell'universale.
Il giudizio riflettente, qui analizzato, deve innanzitutto ricercare l'universale.
Il suo principio è la finalità.
Se la finalità è soggettiva, il giudizio è estetico; se è oggettiva, Kant parla di giudizio teleologico.

Nella trattazione critica dell'estetica, Kant distingue il Bello dal Sublime.
Il Sublime si riferisce, a differenza del Bello, all'infinito, la cui rappresentazione è accompagnata dall'idea della totalità.
L'Analitica del Bello dimostra che un giudizio estetico secondo le categorie è universale perché pretende di essere seguito da altri, e necessario perché esige uno spirito comune a tutti gli uomini.
Nel giudizio estetico si esprime il "piacere disinteressato"che, in base alla categoria della relazione, si riferisce alla forma della finalità.
    «La bellezza è la forma della finalità di un
    oggetto in quanto essa viene percepita in esso
    senza la rappresentazione di uno scopo.»
Bello è quindi ciò che provoca piacere poiché rappresenta una finalità.
I fiori rappresentano il Bello naturale attraverso l'armonia delle loro parti senza che l'osservazione sottenda uno scopo.
I giudizi di gusto celano in sé l'antinomia: essi non sono dimostrabili e tuttavia pretendono di essere vincolanti.
Essi si fondano su una sensazione soggettiva ma al tempo stesso si rivolgono a un senso comune sovraindividuale.
Infine, Kant mette in rapporto l'elemento estetico con quello morale: la determinazione categoriale del Bello serve come analogia al Bene morale.
Il Sublime rimanda alla potente totalità della natura rispetto alla quale l'uomo si misura.

La critica del pensiero teleologico indaga le condizioni del finalismo nello studio della natura.
Il finalismo è un principio euristico per gli esseri viventi, la cui struttura organica fa coincidere l'effetto con la causa.
Un albero cresce se stesso e gli alberi dopo di esso, laddove esso, sia singolo che come genere, rappresenta al tempo stesso la causa e l'effetto del processo.
La causalità necessaria per la conoscenza viene integrata in ambito biologico dalla finalità.

L'antropologia kantiana considera l'uomo, al Contrario dell'animale, determinato non in senso istintivo ma razionale.
Pertanto l'educazione ha il compito di impedire al singolo una possibile ricaduta allo stato primitivo.
L'educazione ha lo scopo di illuminare, non solo "ammaestrare" i bambini ma anche indurli a pensare.
Essa si realizza "domando la brutalità" attraverso l'educazione alla disciplina, un insegnamento finalizzato all'acquisizione di capacità, e la crescita culturale.
Importante è la moralizzazione, che deve trasmettere principi giusti.

L'uomo si differenzia dall'animale anche a causa del suo percorso storico, dal quale deriva un perfezionamento graduale attraverso la trasmissione di ciò che è stato raggiunto di generazione in generazione.
In tal modo, la natura realizza il suo recondito progetto di sviluppare nell'umanità tutte le sue potenzialità.
Il "movente" è l'antagonismo insito nella natura umana, la sua selvaggia socievolezza: l'uomo ambisce alla società e tuttavia la respinge.
La costruzione di una società borghese perfettamente giusta è il
    «compito più alto della natura per l'umanità,
    perché { solo così) essa può raggiungere i
    suoi scopi con la nostra specie».

L'emancipazione dallo stato di natura, di per sé privo di diritti, avviene, secondo la filosofia del diritto elaborata da Kant, tramite un "contratto originario".
Solo uno stato costruito su questa base è in grado di garantire il diritto del singolo cittadino alla libertà inviolabile e all'eguaglianza.
L'imperativo categorico del diritto recita:
    «Agisci esternamente in modo tale che il libero
    uso del tuo arbitrio si concilii con la libertà
    altrui secondo una legge universale.»
Nell'ambito del diritto privato vengono assicurate istituzioni naturali, come la libertà contrattuale, il matrimonio e la proprietà.
Il diritto pubblico pone tutti i cittadini sotto la stessa legislazione.
Kant, inoltre, riprende l'idea illuminista della costituzione repubblicana, insieme alla divisione del potere, alla sovranità del popolo e ai diritti dell'uomo.
Il diritto internazionale, infine, deve garantire la libertà e la pace fra i popoli.
Nell'opera Per la pace perpetua (1795), Kant definisce le condizioni necessarie alla costruzione di uno stato:
- una costituzione repubblicana nei singoli stati;
- un'alleanza pacifica di tipo federativo fra gli stati;
- un (limitato) diritto cosmopolita.